Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Etichetta: 
Dossier
Anno: 
1991
Line-Up: 

- Anton Rathausen (Daniel Vahnke) - Voce, Chitarra, Sampling
- Victor Wulf - Tastiere

Augmentum:
- Karl Geist - Basso, Tastiere
- Jing Laoshu - Percussioni
- Ivan Koci - Chitarra

Tracklist: 

1. Dumme Weisse Menschen
2. Fragrance of Christ
3. Extinction
4. The Ninth Floor
5. Mummified
6. The Tide Returns
7. Pla Man
8. Autocannibalism
9. Crack Babies
10. Momentous
11. Press of Flesh
12. Holiday
13. Friktion
14. Success
15. Abortion Clinic Deli
16. Sexrite
17. Meat

Vampire Rodents

War Music

«Vampire Rodents provided the perfect vector for my sick sense of humour and my anti-human extinctionist politics.»
(Daniel Vahnke)

I Vampire Rodents rappresentano senza ombra di dubbio una delle punte di diamante del panorama sperimentale e underground degli anni '90. In una carriera durata nemmeno un decennio hanno pubblicato cinque album in studio che sono stati in grado di spaziare nella quasi totalità della musica del Novecento, attingendo a piene mani dalle più diverse correnti artistiche (dall'avanguardia più elitaria alla musica leggera più orecchiabile, in una variante più recente della musica totale di Frank Zappa) e dando vita a una delle saghe più eclettiche e geniali della seconda metà del secolo.

Il nucleo della band si forma nel 1986 a Phoenix, in Arizona, quando il giovane antropologo di Toronto Daniel Vahnke (uno studioso e amante della musica classica e d’avanguardia contemporanea), al tempo impegnato nell’elaborazione di alcuni pezzi per solo pianoforte e in studi sperimentali per ricreare ottave composte da 28 suoni, si interessa a un nuovo tipo di composizione (successivamente rinominata da Vahnke stesso sample-based composition). In principio questo metodo di elaborazione musicale - che prevede l’assemblaggio di frammenti sonori allo scopo di creare senza costi o fatica opere profonde ed elaborate - viene affrontato in modo amatoriale da Vahnke con un semplice Commodore 64 provvisto di un programma Sonus Super Sequencer, finché nel 1988 non riesce a procurarsi un sequencer Roland S-50 che amplia notevolmente le possibilità dell’artista.

Conscio delle potenzialità del suo nuovo strumento, decide quindi di intraprendere un'attività musicale con il suo grande amico Victor Wulf, anch'egli canadese, anch'egli impegnato come antropologo in Arizona e anch'egli appassionato di musica (seppur i suoi lavori vertessero su brani pop sperimentali e colonne sonore ambient composte tramite campionatori). Al duo si aggiungono i due colleghi di Vahnke Jing Laoshu (al basso) e Karl Geist (alle percussioni): il gruppo così formato adotta quindi il moniker Vampire Rodents, nome strettamente correlato all'attività di antropologi dei quattro membri (Vahnke prende infatti l'idea dal suo rinvenimento di un teschio di un roditore dai canini particolarmente sviluppati) e - secondo Vahnke - particolarmente adatto alla natura underground del gruppo.
La band è animata da una profonda passione per la musica d’avanguardia, ma il progetto, agli occhi degli stessi membri, rimane nient’altro che una presa in giro all’industria discografica e soprattutto una valvola di sfogo per la creatività sperimentale delle due menti principali, Vahnke e Wulf («We pooled our resources and started Vampire Rodents as an outlet to our experiments, both as self-entertainment and as a way to 'play a joke' on the music industry»), senza alcuna ambizione commerciale o di successo.

Già nel 1989 è pronto un primo full-length intitolato War Music, ma viene pubblicato solamente l'anno successivo (in un numero di copie molto limitato e solo in cassetta) e riedito nel 1991 in compact disc. Nonostante la forte vena amatoriale che permea tutto l'album, il disco rappresenta uno dei lavori più personali dell'industrial della scuola degli Skinny Puppy e del primo Nine Inch Nails, e lascia trapelare tutte le potenzialità avanguardistiche che il gruppo svilupperà nei lavori successivi: Vahnke infatti considererà War Music come una semplice provocazione, allo scopo di far credere agli ascoltatori che si tratti di un progetto di musica serio, e pertanto sfrutta qui, più che in ogni altro album dei Vampire Rodents, gli strumenti convenzionali del rock (genere che non rientra nelle simpatie di Vahnke, «Rock rhymes with cock for a good reason»).
Le numerose composizioni dell'album sono opera principalmente di Anton Rathausen (alter-ego malvagio di Daniel Vahnke, nel booklet citato come se fosse una persona diversa - Rathausen infatti si occuperebbe di voce, chitarra e sampling, mentre Vahnke sarebbe relegato al management -) e di Victor Wulf: al primo sono attribuiti i pezzi industrial più beceri e selvaggi (vicini al Foetus di Thaw, seppur molto meno magniloquenti e sontuosi negli arrangiamenti), intrisi di un black humor corrosivo e irriverente (quasi una commistione dell'umorismo zappiano e delle sceneggiature horror/splatter di serie B); opera del secondo sono invece i (pochi) pezzi synth-pop, più elaborati per arrangiamenti e soluzioni (reminescenti dell’attività come compositore precedente ai Vampire Rodents). Per sostenere ritmicamente queste composizioni, inoltre, Vahnke-Rathausen utilizza fortemente le drum-machine (le percussioni di Geist sono infatti utilizzate più come fonte di altro rumore che per fini ritmici), i cui pattern strizzano ora l'occhio alle martellanti basi dell'industrial anni '80, ora ai più melodici tappeti synth-pop, ora ai ritmi cadenzati dell'hip-hop (specialmente quello di Eric B. & Rakim) emergente in quegli anni.
A coronare la primitività di War Music s'aggiungono infine un pack fortemente amatoriale, opera della Dossier Records, e una produzione spiccatamente lo-fi (che però è ben lungi dal penalizzare il risultato finale, anzi aggiungendovi un certo fascino oscuro e misterioso), mentre nel booklet si legge - a dimostrazione dell’assoluta non-serietà di tutto il progetto Vampire Rodents - un sarcastico e autocelebrativo «Rodentia über alles».

L’apertura è affidata a Rathausen con la sua violenta Dumme Weisse Menschen, un becero e delirante manifesto della misantropia di Vahnke, accompagnato da un tessuto industriale primitivo e selvaggio caratterizzato da percussioni amatoriali, riff di chitarra abrasivi (suonati, oltre che da Daniel Vahnke, anche dal collaboratore Ivan Koci) e linee di basso prorompenti, mitigati dai pochi fraseggi melodici di Wulf di impostazione synth-pop (senza comunque risultare altrettanto kitsch). Ma la vera protagonista è la voce di Rathausen, che proclama il suo odio verso l’umanità in maniera sguaiata e anti-musicale, gracchiando i testi senza seguire alcun tipo di metrica o intonazione, in una prova vocale agli antipodi di tutto ciò che rappresenta il canto tradizionale. I pezzi successivi si muovono quindi tra una concezione più tradizionale della musica industrial - tra campionamenti sostenuti da tessuti sonori camaleontici e rumoristici (Fragrance of Christ e The Ninth Floor, quest'ultima anche accompagnata da atmosferici tappeti di tastiera) - e una invece più brutale e dissonante (come dimostrato dai riff chitarristici abrasivi di Extinction), mentre in pezzi come Mummified i Vampire Rodents esulano dai cliché del genere arrivando a concepire in modo austero e solenne la propria musica, dotandola di arrangiamenti inusuali (addirittura un violoncello e dei flauti esotici sostengono il canto asettico di Vahnke, rendendo Mummified uno dei brani più vicini al modus operandi dei dischi successivi). L'eclettismo della musica dei Vampire Rodents traspare in ogni caso anche in War Music, adattando le sonorità industriali al formato hip-hop (è questo il caso di The Tide Returns e di Crack Babies), ma nelle derive più estreme l'album propende per una efferata ripetizione dello stesso approccio anti-musicale feroce, primitivo, quasi "preistorico", condendolo con testi che trascendono il livello del black humor per raggiungere grottesche vette di cattivo gusto (come in Pla Man o in Autocannibalism, un campionario di atrocità e mutilazioni sorretto da un altrettanto opprimente tessuto sonoro).
È a circa metà disco che War Music cambia rotta, cominciando ad inserire tutti gli elementi pop e ballabili che nei pezzi precedenti erano stati mutilati e accettati rozzamente (complice anche la maggior ingerenza in ambito compositivo di Victor Wulf e del suo gusto pop/elettronico): con Momentous infatti i Vampire Rodents riportano in auge un gusto pop-elettronico dal forte impianto tastieristico tipicamente anni '80 (si sentono molti echi di artisti come The Blue Nile e Stan Ridgway, fra i più apprezzati da Vahnke fuori dall'ambito classico e jazz), che vengono ripresi anche nell'immediatamente successiva Press of Flesh e che contaminano anche l'industrial più becero di Holiday (che riprende quasi pedissequamente la struttura di Autocannibalism). L'intermezzo di Friktion riporta quindi i Vampire Rodents negli anni '80, questa volta alle prese con il satirico pop-metal di Success, con il pop riccamente arrangiato di Abortion Clinic Deli (che nasconde in realtà un omaggio alla A Modest Proposal di Jonathan Swift, nonché un inquietante e pantagruelico menu di ricette a base di feti abortiti) e infine il synth-pop di Sexrite (che però riprende i campionamenti vocali dell'industrial della prima metà dell'album).
A concludere il disco vi è Meat, che riprende i due filoni principali di War Music (il synth-pop lambiccato di Wulf e l'industrial selvaggio di Vahnke-Rathausen) unendoli in un brano vicino nelle sonorità alle orchestrazioni industrial di Foetus e al Nine Inch Nails di Pretty Hate Machine.

In nemmeno un'ora terminano così le diciassette tracce che compongono War Music. Sicuramente rappresenta un album di assestamento, piuttosto immaturo sia nei concept che nell'impiego dei (pochi) mezzi a disposizione, eppure fin da queste primissime composizioni traspare una certa follia eclettica e cultura musicale che in soli quattro anni sboccerà in alcuni dei più mirabolanti esempi di avanguardia del decennio.
Ancora eccessivamente amatoriale e ripetitivo, War Music rimane in ogni caso un lavoro fortemente personale e accattivante anche grazie alla vena immatura e grandgruignolesca del disco che, lungi dal voler essere presa seriamente, conferisce ulteriore particolarità a uno dei primi passi di una delle più grandi quanto sconosciute istituzioni degli anni '90.

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