Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Etichetta: 
Re-Construction
Anno: 
1995
Line-Up: 
  • Andrea Akastia
    celloviolin
  • Jing Laoshu
    percussion
  • Daniel Vahnke
    samplerguitarvocalslyrics
  • Victor Wulf
    pianosynthesizer
  • Chase
    loopsdesign
  • Mordachai Benghiat
    guitar
  • Consuelo Buenviento
    fluteoboe
  • Luisa Escalante
    trumpettrombonesaxophone
  • Lucia de la Torre
    clarinetflutebassoon
  • Robin James
    cover artillustration
  • Joan McAninch
    producerengineeringmastering
Vampire Rodents

Clockseed

A partire dal 1994, di fatto, i Vampire Rodents come band non esistono più. Wulf e Akastia non partecipano più attivamente alla scrittura della musica e non sono nemmeno più fisicamente in contatto con Vahnke: il loro contributo è ora ridotto semplicemente all’invio di frammenti di materiale registrato su cassetta, che Vahnke poi deciderà di riutilizzare per le proprie composizioni.

«For instance, I may play 200 different three-note shapes on cello into the DAT, never really knowing where they’ll be used sometimes.»
(Andrea Akastia)

In solitaria, Vahnke registra un nuovo album, nuovamente sotto il moniker Vampire Rodents: Clockseed viene pubblicato, nuovamente per la Re-Constriction, il 7 aprile 1995. Da Lullaby Land sono cambiate molte cose. La musica di Vahnke non ha quasi più alcun contatto con la musica industriale: l’influenza più preponderante ora è quella delle tendenze elettroniche giunte alla piena maturità intorno alla metà degli anni Novanta, come il trip hop e la drum & bass, di cui Clockseed recupera lo scheletro ritmico molto pronunciato e occasionalmente anche l’arte del turntablism (come su Revisioned, un brano prettamente hip hop con rap e scratching ad opera del duo industrial rock SMP). Ovviamente, come suo solito, Vahnke rilegge queste musiche sotto la sua personale ottica di compositore d’avanguardia, arricchendole di arrangiamenti sofisticati e luminosi, ricavati da campionamenti di flauti, sassofoni, violini, violoncelli, pianoforti e tastiere.Il risultato è di fatto una musica da camera post-moderna per drum machine e sampler, in cui il battito danzereccio della prima collide con l’elaborato universo sonoro allestito dal secondo. In Downwind, per esempio, la trama musicale è costituita dall’intreccio tra le sinuose linee impressioniste del flauto, le frasi del violoncello e il ritmo scomposto della drum machine, mentre nella delirante Floater Vahnke scompone il jazz per big band rimontando sassofoni e xilofoni su dinamiche cartoonesche e chitarre industrial metal. Su Tattoo Me invece si lambiscono i vertici di Lullaby Land: la base, con il suo tema portante di flauto reiterato uguale a se stesso sotto il canto di Vahnke, sembrerebbe provenire da un disco di hip hop particolarmente evoluto, se non fosse che il brano viene in continuazione sabotato da cambi di tempo e di umori, ora con minacciosi crescendo orchestrali, ora con cromatismi degli archi, ora con fugaci barlumi di una registrazione dixieland. Il testo è l’ennesima invettiva alla superficialità americana, ma l’attacco sembra essere rivolto anche alla figura della rockstar, con tutti gli stereotipi estetici che questa comporta.

La maggiore novità – forse la più importante attuata in Clockseed – è però la scelta di Vahnke per quanto riguarda le parti vocali del disco, che già all’epoca di Premonition Wulf riteneva essere il problema principale del progetto.

«Vocals are the biggest weak point of this band. We really need three or four different vocalists. There are so many different types of Rodent songs, yet we have only one voice. Boring.»

Se su quell’album i Vampire Rodents avevano tentato di aggirare l’ostacolo con una vasta percentuale di brani solo strumentali, e se su Lullaby Land si erano invece avvalsi delle prime timide collaborazioni con altri musicisti (presenti peraltro anche su questo nuovo album), questa volta Vahnke decide di andare fino in fondo: affida a Chase il compito di trovare nuovi vocalist cui offrire una parte su Clockseed, reclutando infine quasi una ventina di cantanti diversi. Vahnke canta solo su quattro dei ventidue pezzi dell’album. La ricerca di nuove voci avviene, naturalmente, nella maniera meno ortodossa possibile: i cantanti ricevono, tramite Chase, la registrazione del brano strumentale già ultimato e – senza alcun tipo di contatto diretto con Vahnke, che quindi non può modificare il pezzo in funzione delle esigenze del vocalist di turno – ne scrivono il testo e lo cantano sulla traccia musicale già ultimata.

«We try to give a vocalist a challenging task. Often we intentionally offer a track totally unlike what the artist is used to working with.»

Dato che ogni cantante sceglie in maniera completamente autonoma come affrontare la parte vocale del suo pezzo, Clockseed è disseminato di trovate eccentriche e sempre nuove. Il canto rabbioso di Christian Void (Killing Floor) su Dowager’s Egg viene trasfigurato in rap, sostenuto in una versione orchestrale della musica da dancefloor seguendo il ritmo propellente della drum machine, mentre su Skin Walker la voce suadente di Sarah Folkman (del duo gotico Geko) si concentra sugli arrangiamenti, duettando con le frasi del violino e confondendosi con esse. Mark Edwards (Fleshhouse) si cimenta in una delirante prestazione su Scatter, praticamente una versione demoniaca di un balletto di Sergei Prokofiev compresso e riadattato all’era della musica elettronica, mentre Mel Hammond del gruppo EBM Die Warzauu rappa sul mosaico Cocked, Loaded & Ready, l’ennesima variazione colta sul tema della musica electro-industrial. Alla cantante del gruppo industriale Death Ride 69 Linda LeSabre viene addirittura affidato il difficile ruolo di cantare su Terra Amata, un nuovo esperimento collagistico di musica del quarto mondo di Vahnke dove la base è data, oltre che dalla solita drum machine, da percussioni indiane e dal didgeridoo.

A volte l’accoppiata brano-interprete suona quasi premeditata: è questo il caso di Mother Tongue, dove Eric Powell dei 16 Volt gioca in casa su una base intessuta da un flauto mediorientale e un battito techno, ma arricchita dalla chitarra industrial metal dal sapore Nine Inch Nails di Tony Lash (che del gruppo indie Heatmiser è però il batterista). Altre volte suona invece molto azzardata, come su Heliopause – dove Dee Madden dei Penal Colony sembra seriamente in difficoltà a trovare una linea giusta da adottare contemporaneamente al violoncello tardo romantico, ai lacustri interventi vagamente jazzati del sassofono e al battito techno. «Of course, there are always going to be situations where this backfires.»

Ai vocalist che avevano collaborato già con Vahnke non vengono riservati trattamenti di riguardo. Se Zygote, nuova collaborazione con Dan Gatto alla voce, è forse il brano che maggiormente tradisce qualche filiazione tra Lullaby Land e Clockseed (e infatti era apparsa già l’anno prima su un’altra compilation della If It Moves...Scavengers in the Matrix), a Jared Hendrickson tocca invece una parte completamente opposta a quella avuta sul disco precedente. Lontano dal guazzabuglio dissonante di campioni che era Lullaby LandLow Orbit è invece un brano estremamente melodico, con una luminosa base di organo e archi degna di un disco baroque pop solo raramente sabotata dalle scariche di chitarra elettrica e da rumori concreti. Non va troppo meglio a Pall Jenkins, che ora presta il suo canto sciamanico a Tenochtitlan II, costruita a partire dal campionamento della Technotitlan apparsa tre anni prima su Premonition (ma con finale sottratto dalle percussioni in apertura a Dresden).

«I consider my great fortune & good luck with guest vocalists to be inexplicable. The music was not that great, but somehow, I received incredible results from people I’ve never met. Maybe that is the key – No communication – just let the experiment ride as it must…»

Rispetto a Lullaby LandClockseed sembra focalizzarsi maggiormente sulla scrittura coerente dei brani e sull’operazione di arrangiamento, che se da un lato limita l’esplosione di creatività anarchica del suo predecessore, dall’altro lo fa suonare più accessibile e coeso. Per questo, Clockseed è il primo album nel senso classico del termine dei Vampire Rodents: non più una raccolta di esperimenti arditi dell’arte del campionamento provenienti da ogni genere e tradizione musicale, ma un’antologia strutturata e musicalmente omogenea di canzoni dalla personalità ben definita. Pur con brani dal piglio tanto ballabile, rimane sempre però alla base un umorismo deviato e iconoclasta, che è poi quello che porta Vahnke a chiudere il disco con Little Canoe, una filastrocca cantata da tal Betty con tono infantile su due ragazzi che fanno sesso su una piccola canoa fino a ribaltarla. Ed è forse proprio questa mentalità che è celebrata nell’artwork di Clockseed, con un tenero roditore dai pronunciati denti canini che si specchia nell’acqua, da cui si scorge però il suo riflesso avvolto da inquietanti tinte rossastre.
Insieme a Lullaby Land, è questo l’altro grande capolavoro dei Vampire Rodents.

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