- John Lawton – vocals
- Mick Box – guitar
- Ken Hensley – keyboards
- Trevor Bolder – bass guitar
- Lee Kerslake – drums
1. The Hanging Tree
2. Been Away Too Long
3. Who Needs Me
4. Wise Man
5. Do You Know
6. Rollin’ On
7. Sympathy
8. Firefly
Firefly
Gli Uriah Heep tornano poco dopo l’ultima fatica High and Mighty ma con una grande novità: un cambio di formazione dietro al microfono, posizione da anni meritatamente presenziata da David Byron e che stavolta apporta un motivo di ispirazione in più pur non stravolgendo il trademark della band.
È di John Lawton la bellissima voce che fin dalle prime note di The Hanging Tree riesce a spolverare quella maschera settantiana e conferirgli un significato eterno, come se volesse ergersi a timoniere dell’immensa caravella che stavolta, a nome Firefly, ha tra le proprie mete non solo terre progressive ma anche epiche, in stile Rainbow. Un timoniere agevolato da una ciurma di altissimo livello che risponde più di tutti al nome di Mick Box, scioltissimo nel correre tra i vari tasti della sua sei corde e Ken Hensley, prima mente geniale della band. Ma, dicevamo, un timoniere che si sente a suo agio nel suo ruolo seppur assunto per la prima (ed ultima) volta.
Sì perché Firefly è un album cruciale, che abbonda di tecnica rivestita di un ascolto facile, tecnica che seppur inondi a dismisura (limpidi sono i richiami all’approccio vocale di Ronnie James Dio) compensa solo parzialmente la mancanza di David e della sua capacità emotiva di smuovere dall’interno la nostra sensibilità musicale. E seppur la blueseggiante Who Needs Me potrebbe contribuire a convincerci del contrario, la ballad Wise Man, bellissima quanto affascinante, ci riporta ai tempi di Rain e ci ricorda il valore assoluto ed inarrivabile che assumeva Byron nelle ambientazioni degli Uriah.
Rollin’ On, a discapito del titolo, è tutt’altro che rock’n’roll ed è solo con Sympathy che la pressione risale grazie anche ad un Mick ispiratissimo, mentre la title-track ci circonda della sua infinita dolcezza. Una lode va sicuramente a Ken Hensley, artefice della maggior parte dei brani.
Per comprendere bene il valore di questo album bisogna realmente riflettere sulla parte vocale. Perché capita di vivere delle scene, delle situazioni inaspettate e che tali circostanze producano un effetto su di noi che definire emozionante è riduttivo. Situazioni non del tutto straordinarie di per sé ma talmente toccanti quanto emotivamente inspiegabili. Questa è l’esatta trasposizione dell’effetto di David rispetto a John. Un cantante, quest’ultimo, impeccabile, straordinariamente sopra le righe, sicuramente al di sopra del 90% dei cantanti allora in circolazione ma che non riesce a far balzare il cuore fuori dal petto, così come riusciva Byron.
Nonostante tutto Firefly è un album potente, che vive di un equilibrio disarmante, baricentro esatto della versatilità assolutamente trasversale che ne caratterizza, tanta è la possibilità di piacere a palati così diversi tra loro. Un album che si perde nella discografia di una band così fondamentale pur essendo caratterizzato da grandi canzoni.