- Kristoffer “Garm” Rygg – Voce, Sintetizzatore
- Jørn H. Sværen – Percussioni
- Tore Ylwizaker – Pianoforte, Sintetizzatori, Programming
Ospiti
- Pamelia Kurstin – Theremin
- Christian Fennesz – Sampling, Programming
- Hans Josef Groh – Violoncello
- Dorthe Dreier – Viola
- André Orvik – Violino
- Vegard Johnsen – Violino
- Mathias Eick – Tromba
- Espen Jørgensen – Chitarra acustica ed elettrica
1) Eos (5:05)
2) All the Love (3:43)
3) Like Music (3:30)
4) Vigil (4:28)
5) Shadows of the Sun (4:36)
6) Let the Children Go (3:50)
7) Solitude (3:54)
8) Funebre (4:27)
9) What Happened? (6:25)
Shadows of the Sun
Nuova rivoluzione in casa Ulver.
A due anni di distanza da un “Blood Inside” sperimentale, mai scontato e vivacemente variopinto, sempre sopra le righe, sempre pronto a mescolare tonnellate di suoni diversi, in continua esplosione e ritmicamente assai sostenuto, il trio formato da Rygg, Sværen e Ylwizaker torna sulle scene con il settimo disco della propria storia, “Shadows of the Sun”, episodio che oltre a negare alla radice l’essenza del disco precedente (presentando punti di continuità evidenti solo con “Blinded by Blood”), svela un nuovo volto dell’ensemble norvegese, l’ennesimo di una carriera che, del resto, non è mai stata caratterizzata da prevedibilità o certezze.
“Shadows of the Sun” è il disco più intimo, timido e raccolto mai pubblicato dagli Ulver: in tutti i suoi quaranta minuti di durata non c’è nemmeno l’ombra degli exploit di “Blood Inside” o delle esplicite descrizioni di “Perdition City” – al contrario, “Shadows of the Sun” è un album fatto di continue implosioni, che mai si lascia andare e costringe a rimanere con il fiato sospeso fino alla fine: fatte le dovute premesse (“Shadows of the Sun” presenta caratteristiche peculiari, che lo rendono un episodio unico all’interno della discografia dei Lupi), alcune idee di questo disco possono essere accostate ad altre emerse durante le ricerche sonore ulveriane d’inizio millennio, periodo caratterizzato dalla pubblicazione di diversi EP (“Teachings in Silence” e “A Quick Fix of Melancholy”) e colonne sonore (“Svidd Neger” e “Lyckantropen Themes”) a cavallo fra Elettronica, Minimalismo e Ambient.
In questo settimo capitolo, Garm e Tore riescono finalmente a dare completo sfogo alla loro passione per la musica Classica e cameristica, incorporando frequentemente soavi e preziosi arrangiamenti d’archi come trama per i propri brani ed utilizzando in modo assiduo l’elegantissimo e fine timbro del pianoforte, strumento cui viene principalmente affidata la responsabilità per lo svolgimento melodico dei pezzi; impeccabile anche la scelta d’utilizzare la tromba per alcuni interventi solisti ed intermezzi atmosferici, affrontati con uno stile sfumato e slabbrato (meno prevedibile rispetto alla perfezione formale, quasi Smooth Jazz, che poteva, ad esempio, caratterizzare il sassofono di una “Lost in Moments”). Tutti questi elementi ruotano attorno all’ammaliante canto di Kristoffer Rygg, i cui gorgheggi sono tuttavia privi della vena istrionica e teatrale del passato: al contrario, Garm punta su un approccio serissimo, malinconico, completamente giocato su timbri bassi e sognanti, dal feeling spirituale, talvolta facendosi accompagnare da qualche flebile e spettrale afflato corale che sfiora il gotico, talvolta bisbigliando in solitario, ma sempre incantando con il suo consueto charme.
Scarsissimo l’apporto ritmico, con una batteria pressoché assente e le percussioni a farsi strada solo sporadicamente, per sottolineare i momenti più vivi del lavoro: altrove s’assiste invece al dilatarsi silenzioso di vibranti costruzioni Ambient, con tappeti di drones, sibili, tintinnii, glitches, suoni sintetizzati od inusuali volteggi del theremin (della guest star Pamelia Kurstin) a creare i panorami sonori di fondo, su cui andranno a stagliarsi le melodie portanti delle canzoni stesse. Qualche accento più noisy e denso, particolarmente marcato in alcuni finali (si ascoltino “Like Music” e “Vigil”), dona maggiore intensità ad un’atmosfera altrimenti piuttosto dimessa e calma, emozionante ma priva di particolari sussulti: estremamente omogeneo al suo interno, “Shadows of the Sun” è una fantasia di colori violacei, ombrosi e crepuscolari, tonalità parecchio adatte per la reinterpretazione della stupenda “Solitude” dei Black Sabbath, desolata e rassegnata, con un basso corposo e le divagazioni dei fiati ad accompagnare la voce suadente di Rygg; pochi attimi prima, l’esotica e speziata “Let the Children Go” aveva cosparso di suggestioni etniche il momento più torrido e vigoroso del disco, con uno Sværen particolarmente efficace nell’utilizzo delle percussioni.
La compattezza stilistica permette all’album di mantenere una propria identità e alle varie tracce di concatenarsi l’una all’altra con naturalezza; la perizia degli Ulver dà invece modo ad ogni canzone di essere nobilitata da qualche accorgimento interessante o da intuizioni melodiche degne di nota: la finezza sublime di “Funebre” e la calma inquietudine della conclusiva “What Happened”, ad esempio, rappresentano i momenti più onirici del lavoro, mentre la poeticità musicale di perle come “Eos” (delicatissima) e “All the Love” risulta fondamentale per permettere all’album di convincere già dalle fasi iniziali.
“Shadows of the Sun” è un disco riuscito, ben composto e ben interpretato, dalla personalità –definita coerentemente per tutta la sua durata– magnetica e fascinosa; la sperimentazione tout-court di “Blood Inside” è stata sostituita da una vena meno incline a cercare la sorpresa geniale, la combinazione estrosa o la trovata ad effetto, ma tendente alla creazione particolareggiata di un’atmosfera evocativa e toccante, da gustarsi con la massima rilassatezza: i risultati, pur migliorabili, sono a tratti spettacolari ed immediatamente fruibili, e doneranno particolare soddisfazione a chi troverà di proprio gusto il mood assorto e distinto di quest’album. Insomma, questo settimo sigillo Ulveriano, pur non presentando particolari innovazioni in senso assoluto, riesce comunque a rilanciare la profonda convinzione che il trio norvegese continui ad essere una delle entità più significative, intelligenti e talentuose del panorama musicale odierno. Un disco da non perdere.
LINKS PER L’ASCOLTO
- Ulver @ Myspace