- Garm (Kristoffer Rygg) – Voce
- Aiwarikiar (Eric Olivier Lancelot) – Batteria
- Skoll (Hugh S. J. Mingay) – Basso
- Aismal (Torbjørn Pedersen) – Chitarra
- Haavard (Håvard Jørgensen) - Chitarra
Guests:
- Sverd (Steinar Johnsen) - Pianoforte nel capitolo III
- Kathrine Stensrud - Voce, Flauto
1. I Troldskog faren vild
2. Soelen gaaer bag Aase need
3. Graablick blev hun vaer
4. Een stemme locker
5. Bergtatt - ind i Fjeldkamrene
Bergtatt
“Bergtatt, una leggenda in cinque capitoli”: è questo il nome cui corrisponde uno dei più bei lavori Black Metal di sempre, un disco ricco di atmosfera nordica, denso di emozioni, impregnato da un sapore malinconico capace di affascinare anche i cuori più duri ed estranei al metal estremo. Gli autori del masterpiece in questione sono i norvegesi Ulver, a quei tempi ancora lontani dalle divagazioni elettroniche ed avantgarde che sono ora colonne portanti della produzione musicale della band, allora come adesso sempre capitanata dall'eclettica figura del singer Garm.
Il gruppo proveniva dalla buona prova offerta dal demo "Vargnatt "(“La Notte del Lupo”), che già aveva posto le fondamenta per il sound dei norvegesi - alcuni cambi in line-up ed un nettissimo miglioramento delle capacità musicali, e gli Ulver furono pronti all’esordio discografico. 1994, Endless Studios: viene registrato "Bergtatt".
A differenza dello standard Black Metal del periodo, la produzione/mixaggio del cd è buona, e anche il dettaglio grafico è ben curato: la fascinosa copertina e il cupo booklet, cosparso di foto naturalistiche in bianco e nero, appagano la vista, mentre ad esaltare l’udito ci penserà il contenuto musicale, un contenuto qualitativamente spaventoso se si pensa che questo è solamente l’esordio della band. Rispetto al demo, in Bergtatt viene decisamente aumentata la varietà delle composizioni: i momenti melodici con flauti, cori, chitarre classiche e voci femminili compaiono più frequentemente, andando a complementare le sezioni di puro Black Metal del combo norvegese: sfuriate di doppia cassa, una gran varietà di riffs (spesso veloci e asciutti, ma sempre colmi di spunti melodici), screaming tagliente. Proprio le voci sono uno dei punti di forza del lavoro: Garm mostra, a seconda dei vari momenti del disco, delle clean vocals malinconiche ed evocative o uno screaming lacerante, fra i migliori nel suo campo: in entrambi i casi, un canto molto emozionante. Volendo trovare un’etichetta-ombrello, quindi, si potrebbe etichettare questo platter come Black Metal melodico, impregnato fino al midollo di quelle influenze Folk che saranno poi addirittura estremizzate nel successivo, interamente acustico, "Kveldssanger".
"Bergtatt" è un vero e proprio concept album, ideato basandosi su una storia scritta da Garm, dichiaratamente ispiratosi alle leggende della propria terra: protagoniste della narrazione sono le vicende di una fanciulla smarritasi nella foresta, la quale diviene preda delle millenarie creature che vivono negli antri della montagna - 'Bergtatt' significa infatti “presa dalla montagna”.
Il capitolo primo, "I Troldskog Faren Vild", è introdotto dalla precisa batteria di Aiwarikiar, e ci presenta la sognante e nostalgica voce di Garm in tutto il suo toccante spessore, una voce capace di far digerire questo primo brano anche a chi non apprezza i suoni estremi. I riff, molto melodici per il genere, sono vari e godibili, così come gli assoli, di ottima fattura: d’altronde tutto il disco è suonato con perizia, e il livello tecnico è più che buono.
Ad aprire il secondo brano, "Soelen Gaaer Bag Aase Need", troviamo una dolce melodia di flauti e chitarre acustiche: è la classica “calma prima della tempesta”, in quanto di lì a poco calerà la notte, e la ragazza disperata comincerà ad accorgersi del pericolo. Poco dopo un minuto, infatti, le chitarre di Aismal e Haavard si lanciano in un vortice furioso, mentre la voce glaciale di Garm si rivela in tutta la sua malignità. Il ritmo sostenuto viene “controllato” dapprima da cori maschili di sottofondo, poi da rallentamenti in cui ricompare la voce pulita; infine, un rinnovato attacco ci trascina fra le paure e le angosce della giovane, fino al finale in cui le armonie di un coro fanno da ponte verso la terza traccia.
E’ il coro stesso, accompagnato da una malinconica chitarra acustica, a costituire l’incipit di "Graablick Blev Hun Vaer", brano che muterà presto in un up-tempo malvagio in cui il basso, suonato da Skoll, risulta nettamente più rallentato rispetto agli altri strumenti, creando uno straniante effetto di contrasto, con violenza e sicurezza a miscelarsi tra loro. Si è poi introdotti in una sequenza Ambient in cui i rumori dei passi della ragazza, oramai sperduta nel bosco, sono accompagnati dagli accordi del pianoforte del guest Sverd, tastierista e fondatore degli Arcturus di cui facevano parte, all’epoca, sia Garm che Skoll (quest’ultimo tutt’ora bassista della formazione).
La quarta "Een Stemme Locker" è il passaggio acustico del disco, e sta a Bergtatt come "Trollskogen" stava a Vargnatt. Questo capitolo mostra il dialogo tra il 'signore della montagna' e la fanciulla, messo in scena grazie ad un adeguato uso delle voci: ai profondi sospiri tentatori di Garm risponde l'innocente voce di Kathrine Stensrud - la ragazza si lascia incantare esattamente come l'ascoltatore, cullato dalle ipnotiche melodie delle chitarre acustiche e dal ritmato battito delle percussioni in lontananza.
Il capitolo conclusivo "Bergtatt - Ind I Fjeldkamrene" racconta della definitiva scomparsa della fanciulla, infine catturata da queste espressioni malvage della Natura; musicalmente l'episodio finale raccoglie quanto di meglio presentatoci nei brani precedenti, grazie ad un climax eccezionale caratterizzato dalle incisive trame di chitarra elettrica, sempre più cariche di un tagliente feeling nostalgico e melanconico. L’epilogo, dopo alcuni istanti di silenzio, è lasciato al caldo rintocco delle chitarre acustiche, cui spetta il compito di far calare il sipario, dopo 35 minuti, sull debut-album degli Ulver.
"Bergtatt" - un concentrato di emozioni, un viaggio all’indietro nel tempo in una foresta dimenticata di qualche secolo fa, un sogno popolato di antiche leggende, una visione da brividi; insomma, un’esperienza che potrebbe cambiare il vostro modo d’intendere la musica estrema.