- Midge Ure - chitarre e voce
- Billy Currie - tastiere, sintetizzatori, viole e violini
- Warren Cann - batteria
- Chris Cross - basso
1. Astradyne
2. New Europeans
3. Private Lives
4. Passing Stranger
5. Sleepwalk
6. Mr. X
7. Western Promise
8. Vienna
9. All Stood Still
Vienna
La carriera degli Ultravox va suddivisa in due differenti stagioni: la prima ovvero quella sperimentale e quasi cibernetica, (quando la band si chiamava ancora Ultravox!), capitanata dal leader John Foxx (1974-1979), e la seconda più melodica e decadente che vede lo scozzese Midge Ure figura virgiliana della band (1980-1986).
Sul finire degli anni ‘70 il Punk volgeva al tramonto lasciando sparsi nei sobborghi dell’Europa i suoi brandelli di vita. Furono raccolti e poi presi in prestito; nasceva il Dark Punk (Joy Division, Bauhaus, Sister of Mercy, The Cure, Killing Joke), il Disco Punk (Dead or Alive, Blondie, Paul King, Cars), e poco più tardi la New Wave.
La chiave di lettura di quest’ultima corrente è un perfetto equilibrio tra elettronica, melodie oscure e/o decadenti e una comunque base ritmica di matrice Punk.
Gli Ultravox ebbero tra i tanti, il merito di raccogliere in un unico sound un romanticissimo mood condito da eleganti sintetizzatori, melodie intelligenti ed una ritmica ossessiva e oscura.
Della seconda era di questa band, il capolavoro è probabilmente Vienna del 1980, il quale riuscì a sfondare nelle charts europee grazie ad una azzeccata promozione e ad un efficacissimo singolo che ben lasciava intendere il trademark dell’album.
Tuttavia la critica del tempo non è mai stata troppo cortese nei confronti di questi inglesi, ed ancora oggi ad onor del vero gli Ultravox sono immeritatamente troppo poco conosciuti, e sebbene abbiano quasi inventato un movimento che negli anni ’80 vide più imitatori, spesso la band di Ure e Currie viene gettata nel dimenticatoio.
Vienna, uscito la bellezza di 26 anni fa ancora oggi suona dannatamente attuale, merito della registrazione ma soprattutto dell’uso futurista di certi arrangiamenti, è un album carico di romantico e suggestivo pop, di una elettronica crepuscolare e decadente che si lega ad una sezione basso-batteria pomposa ma ossessiva che dona cupezza al disco tutto. Fa ogni tanto capolino anche una chitarra tipicamente rock che dona alla band un flavour energetico ma allo stesso tempo malinconico.
E’ infatti sulla malinconia compositiva che il combo punta, cosi tanto che per loro verrà addirittura coniato il termine New Romantic Music.
Il sound del quartetto, e quindi di Vienna, ha influenzato dozzine e dozzine di band a venire; la New Wave che si fonde con il synth pop in un ibrido elegante, romantico e decadente, un po’ epico e tanto malinconico. In una parola, gli Ultravox.
Le danze di questo platter si aprono con una strumentale, Astradyne, lussuriosa suite di quasi otto minuti che mette subito in mostra le potenzialità di questa band allora “rinata” dalle proprie ceneri.
L’elettronica è fortemente debitrice ai padri Kraftwerk e per questo sperimentale, ma anche a Brian Eno e a David Bowie, specie del periodo berlinese.
Di quest’ultimo è anche il fascinoso look tipicamente glam che tanto all’epoca era in voga.
Si fa largo tra i sinuosi sintetizzatori anche un basso grave che incupisce il sound rendendolo allo stesso tempo più ampio. La batteria è gelida ma esplosiva, e riesce a pompare quanto necessario. Questo è sicuramente uno degli episodi più robotici ma rilassanti del disco.
Il suono comincia a prendere forma definita quando arriva New European con le sue chitarre rockeggianti sostenute dalla cadenzata batteria, seconda traccia di questo gioiellino e primo versante diretto di questo Vienna.
La song chiude con un delizioso crescendo di piano che all’improvviso si blocca per riprendere goticamente sulle note della terza splendida traccia Private Lives, che è sicuramente uno degli episodi più classicamente New Wave; sezione ritmica martellante e piena, tastiere e sintetizzatori a farla da padrone, voce oscura e decadente in concomitanza col mood “autunnale” del pezzo. Peccato solo che nei suoi quattro minuti termina scemando su un fascinosissimo sintetizzatore…
La successiva Passing Stranger sembra voler ricalcare le orme della precedente, ma nel suo refrain vi è il culmine della melodia synth pop di questo album, ragion percui una delle vette del disco.
Questa è la parte centrale del full length che vede ora esibirsi Sleepwalk in un rock elettronico e di grande impatto che di certo non deluderà affatto tutti gli amanti delle sonorità energiche e spaziali. Molti i rimandi in questo quinto pezzo allo Scary Monster di David Bowie uscito anch’esso nel 1980, a testimonianza di quanto la matrice elettronica stesse al tempo spopolando.
Decisamente più marziale e cadenzata, quindi più oscura e dark, ma fortemente robotica, è la successiva canzone dal titolo enigmatico Mr.X.
Sulla stessa traccia possono ora udirsi i “violenti” e strazianti soli di viola del polistrumentista Currie, forse vero ed unico leader della band, che con la sua magistrale prova esecutiva ha reso probabilmente immortale un album. Le viole sanno ricreare quel tipicissimo sound angoscioso e desolante che è tipico dei luoghi claustrofobici e criptici; sublime l’atmosfera alienante che pervade le orecchie di noi tutti umili ascoltatori.
“Western Promise” si apre con un giro di sintetizzatori davvero molto Kraftwerk, a cui poi si allaccia una tastiera molto onirica ed il tempo scandito dal charleston di Cann.
La canzone ha un incidere progressivo e a tratti si dimena in un rhythm di folkloristica memoria. Poi a metà canzone si aggiunge a cornice di quanto detto una industrialoide voce sentenziatrice.
E’ sicuramente uno degli episodi più singolari del disco, sperimentale e per molti versi avant guardistico (chiedere al Mortiis di The Smell of Rain delucidazione a riguardo…).
E’ il momento della romantica e decadente title track; questo è il primo singolo in assoluto del gruppo ad entrare in classifica, e sostanzialmente è un pezzo rilassante che alterna un pop sintetico condotto dal solito Currie, ad una drammatica interpretazione vocale di Ure.
Sul finire il pianoforte si intreccia ad un nuovo struggente solo di Currie, questa volta di violino, e che nella sua eleganza dona comunque tanto malinconico charm al pezzo.
E’ sicuramente la canzone che ha reso celebre questo album, ma non è certo qui, a conti fatti, che troveremo lo spessore dell’album.
Si chiudono i separi di questo spettacolo con la veloce ed elettronica All Stood Still, debitrice sicuramente alle radici punk sia per quanto riguarda la sezione ritmica sia per quanto concerne i soli di chitarra veramente molto free style, ma ugualmente incisivi e taglienti, ad opera di Ure.
La convenzionale musica pop viene dagli Ultravox infarcita di New Wave e quindi da reminiscenza punk, da elettronica sperimentale e addirittura da musica classica. L’immaginario cupo e glam della band, accompagnato dall’espressionismo sonoro decadente, malinconico e romantico faranno il resto.
Consigliato a tutti gli amanti della New Wave e della Darkwave, a tutti gli amanti dell’elettronica in generale, e in definitiva a tutti coloro che hanno voglia di gustarsi un buon disco.
Punta di diamante degli Ultravox necessita di più ascolti intenzionati, ma è garantito che una volta assimilato non deluderà...e se non ve ne siete ancora accorti, siamo noi i “New Europeans”!