- Amaury Cambuzat - voce, chitarra pianoforte, farfisa
- Olivier Manchion - basso, cori, chitarra acustica, elettronica
- Franck Lantignac - batteria
1. Pése-Nerfs (1997 intro)
2. Ursula Minor (1996 7 Inch)
3. Katatonia (1994 demo)
4. Le Guillotine (1996 sounds)
5. Transatrlantic rendez-vous (1997 7 Inch Unrealized)
6. ...Jun (1998 soundtrack Corean film "Bye June")
7. Bleu Electrique (1998 residence live)
8. Melodicart (1998 live)
9. D-Press T.V. (1996 studio live)
10. r.A.di.O (1996 sounds)
11. Céphalopode (1998 remix)
12. Automne (1997 demo)
13. Brille Brille Brille (1998 live)
14. Ulaabaatar (1996 demo)
15. Stereotomy (1996 sounds)
16. Végétale (1998 remix)
17. Lumière Blache/Scheestum (1998 live)
18. Apt 18-A (1994 demo)
19. Piano Mecanik (1996 studio live)
20. Hauptstadt (1997 live)
21. Tengri (1993 - first demo ever)
Ulaanbaatar
Le influenze dei Neu!, dei Faust e in generale di tutta la scuola Krautrock tedesca hanno da sempre influenzato Amaury Cambuzat e Olivier Machion, strumentisti francesi che nel lontano 1993 hanno dato vita al progetto Ulan Bator. Ulaanbaatar, raccolta che rappresenta una testimonianza del primo periodo 1993-1998, riunisce tutti gli elementi del Kraut e delle primordiali sperimentazioni dei due francesi, accompagnati alla batteria da Franck Lantignac: si va pertanto incontro ad un Post Rock ancora acerbo e non privo di influenze Noise, mostrate nelle varie tracce appartenenti ai primi demo o ep autoprodotti.
Basti ascoltare una canzone come Ursula Minor per comprendere quali meandri sperimentali erano esplorati nel 1996 dai tre parigini, che mettevano in primo piano il folle sassofono e le ritmiche claustrofobiche. Tale senso di inquietudine veniva comunque espresso in modo più chiaro nel secondo demo del 1994, dal quale sono tratte la terza Katatonia, debitrice dei Sonic Youth delle origini e Apt 18-A, che non disdegna l’Industrial degli Ottanta/Novanta.
Si denota comunque come nel breve periodo di quattro anni la formazione abbia proseguito su una scia evolutiva complessa e matura, giungendo alle numerose esibizioni live in supporto di Mogwai e C.S.I.: Bleu Electrique e Melodicart del 1998, nonostante mantengano viva la componente Kraut e quella Noise, riescono sicuramente a trasmettere sensazioni più innovative rispetto alle tracce del debutto discografico, perché i suoni anche in fase live sono studiati e l’approccio appare acido ma trascinante. Dopo la pubblicazione dei primi due album di studio infatti gli Ulan Bator sembrarono aver preso coscienza di quali fossero stati i loro punti deboli e cercarono delle vie inedite attraverso l’uso di nuove strumentazioni.
In conclusione, Ulaanbaatar costituisce un documento dei progressi svolti da una delle band che ha acquisito un discreto successo internazionale dopo la composizione di cinque dischi, ma sembra alquanto inutile riproporre una raccolta di inediti dopo il d-construction del 2000 e il ok:ko del 2002. Che gli Ulan Bator abbiano scritto numerosi pezzi nei primi anni di attività è innegabile, ma non si comprende l’interesse che anche i collezionisti possano dimostrare nei confronti di una serie di brani registrati in un periodo ancora amorfo e piatto per la realtà francese.