Party Animals
E come un’autovettura da corsa che affronta una curva ad alta velocità e dopo il punto di corda ne esce schiacciando sull’acceleratore e lasciandosi il rischio alle spalle, così i Turbonegro capitolano l’esperienza punk e mettono un timbro sul loro nuovo sound che affonda come in apnea su un rock‘n’roll classico. Un timbro che suona come un sigillo, considerando che questo Party Animals rappresenta l’ultimo capitolo (il terzo appunto) della cosiddetta “Apocalypse Trilogy”, trilogia che dopo l’egregio Ass Cobra, spartiacque tra le due ere della band, ha visto la luce con un malsano Apocalypse Dudes. Tutti i dubbi sulla evoluzione della band sono rasi al suolo: la vena rock sta pulsando più forte che mai ed è l’unica che conduce il sangue nell’unico organo (vitale?!) che ispira i Nostri nella composizione dei brani e che non nominiamo per evitare censure.
Un buon lavoro dei due chitarristi che stavolta non puntano su arrangiamenti o stramberie porno-musicali ma semplicemente su un suono compatto e su dei riff che riuscirebbero a strappare un sorriso compiaciuto a gente come Kiss, Rolling Stones e chiunque sappia a sufficienza di cosa stiamo parlando. Ma il merito di ciò va anche al produttore Steven Shane McDonald (per la prima volta la band si avvale di un aiuto esterno) che contribuisce al raffinamento del suono e probabilmente anche all’introduzione di qualche schizzo glam qua e là.
Purtroppo però se come sound il discorso è ben inquadrato, a livello compositivo il lavoro risente di vari punti deboli. Non si può negare che si tratti di un album apprezzabile se ascoltato come primo accesso al mondo Turbonegro ma, come spesso accade, non riesce a trovare una dignità nella discografia della band e rappresenta il classico punto di flessione che può anticipare una caduta libera o una risalita gloriosa. In aggiunta c’è da dire che in vari punti pecca di eccessi di dietrologia forzata (Hot Stuff/Hot Shit).
Brecce piacevoli del passato sono presenti in Wasted Again che rifà luce sulle chitarre grezze di un tempo, mentre If You See Kaye (Tell Her I L-O-V-E Her) tratta con una rockeggiante spensieratezza temi di amore eterno, temi appunto che suonano come un palazzo in demolizione pronto a crollare inerme sui cuori dei fan. Le parti vocali risultano talvolta un po’ troppo piatte (Stay Free) a segno che anche nella mente dell’immenso (in senso fisico oltre che figurato) e trasgressivo singer Hank Von Helvete persiste la convinzione del nuovo percorso imboccato dalla band. È un peccato visto che le iniziali All My Friends Are Dead e Blow Me (Like the Wind) con il loro rock’n’roll sfrenato avevano già fatto urlare ad un Apocalypse Dudes Part II. Anche City Of Satan stupisce per la sua anima ribelle nonostante l’introduzione dell’orchestra nella sua parte conclusiva, oltre che su Final Warning, faccia stupire e al tempo stesso faccia sorgere una domanda: dov’è finito il trademark Turbonegro?
Line up:
- Hank Von Helvete (Hans Erik Dyvik Husby) – vocals
- Euroboy (Knut Schreiner) – lead guitar, piano, backing vocals
- Rune Rebellion (Rune Grønn) – rhythm guitar
- Pål Pot Pamparius (Pål Bottger Kjærnes) – keyboards, guitar, percussion, backing vocals
- Happy-Tom (Thomas Seltzer) – bass guitar, backing vocals
- Chris Summers (Christer Engen) – drums, backing vocals
Tracklist:
1. Intro: The Party Zone
2. All My Friends Are Dead
3. Blow Me (Like the Wind)
4. City of Satan
5. Death From Above
6. Wasted Again
7. High on the Crime
8. If You See Kaye (Tell Her I L-O-V-E Her)
9. Stay Free
10. Babylon Forever
11. Hot Stuff/Hot Shit
12. Final Warning
13. My Name is Bojan Milankovic (CD-only Hidden Track)