Time Is Up
Continua l’ondata revival thrash, inarrestabile. Il mondo del metal brama ad un ritorno alle borchie e alla pelle e così gruppi comeEvile, Bonded by Blood, Violator, Fueled by Fire e gli Havok cercano di spargere nuovamente il seme della distruzione forgiando uno stile musicale che affonda le radici nel più puro panorama anni 80. Parlando nello specifico di quest’ultimo combo d’irriducibili thrashers, si può dire che la loro formazione risale al 2004 e che con questo Time is Up si trovano alle prese con il loro secondo album dopo Burn, uscito nel 2009.
Una copertina stile fumetto, che va tanto di moda tra i gruppi succitati, ed uno stile che guarda costantemente al thrash Bay Area di metà anni 80 sono le caratteristiche principali per fare un bel tuffo nel vintage più puro. Ovviamente la registrazione è pulita, potente e lontana in qualche modo dalla produzioni di venticinque anni fa anche se riesce a mantenere il suo stile thrash senza suoni eccessivamente pompati. La tecnica dei quattro ragazzi è ragguardevole e basta ascoltare l’attacco di Prepare for Attack per gioire di una marea di riffs diretti, supportati da una batteria che viaggia senza sosta ed un basso che macina note su note in sottofondo. Alcune aperture leggermente più accessibili durante il ritornello strizzano l’occhio all’hardcore con successiva entrata delle gang vocals. La voce solista è come al solito abbastanza roca e acida, in puro stile thrash. Gli ottimi fraseggi all’inizio e durante Fatal Intervention ed alcuni brevi riffs dissonanti con successive ripartenze al fulmicotone mi hanno fatto tornare in mente anche i migliori Artillery, oltre riuscire a ritrovare sempre qualcosa legato agli Exodus o ai Testament. Veramente riuscite le sezioni in mid-tempo che questa volta riescono ad evocare anche gli Anthrax di fine anni 80.
Si prosegue con la violenza senza pari di No Amnesty e la quantità di riffs macinati dal duo Scruggs/Sanchez ha dell’incredibile. Quest’ultimo ha anche il compito di portare la sua voce a picchi di brutalità veramente ragguardevoli quando una in parte maggiormente ragionata D.O.A. lascia trasparire un tocco melodico di tutto rispetto, incastonato nel riffing e nei fraseggi di chitarra. Si sfiorano persino lidi progressive prima che una feroce ripartenza nella seconda parte spazzi via tutto, legandosi direttamente con la brutalità di Covering Fire. Le cavalcate operate dal riffing e dalla doppia casa di batteria si distinguono per potenza per una traccia che risulta essere riuscita anche durante i momenti in tempi medi, dal grovve roccioso. Groove che si manifesta pesantemente con l’arrivo di Killing Tendencies, traccia dalla durante consistente che non disdegna alcuni momenti melodici in puro stile Testament (anni 89-92)durante il ritornello. Una maggiormente dinamica Scumbag in Disguise si distanzia dalla traccia precedente.
Avvicinandoci alla fine del disco possiamo nuovamente ritrovare i tempi non velocissimi di The Cleric. La base è ottima per creare oscuri fraseggi di chitarra e puntare tanto sui cambi di tempo prima che le bordate rappresentate da Out of my Way e dalla finale title-track mettano il punto esclamativo su di un album fortemente impersonale ma comunque divertente e godibile. Quello che veramente c’è di impressionante qui è la quantità di riffs macinati dalle due asce. Sicuramente gli Havok sono più che degni di rappresentare questa nuova ondata di band thrash metal che vuole riconquistare il mondo proponendo nuovamente uno stile che lascia maggior spazio al cuore rispetto alla mera tecnica strumentale. Promossi e alla prossima, convinto che il meglio debba ancora venire