- Jens Rydén – Voce
- Joakim Kristensson – Batteria
- Kimmy Sjölund – Basso
- Patrik Lindgren – Chitarra
- Peter Löf – Tastiera e Synth
01. En Sista Litania
02. Från Stormens Öga
03. Isolation
04. Hels Vite
05. Griftefrid
06. Becoming The Eye
07. Tre Vintrar – Två Solar
Hels Vite
E' finalmente giunto il momento del tanto atteso ritorno dei Thyrfing, complesso svedese che nell'ultimo decennio è stato dapprima una delle formazioni di punta del movimento Viking Metal scandinavo (per merito soprattutto dei sontuosi “Valdr Galga” e “Urkraft”) e successivamente uno dei pochissimi gruppi capaci di rinnovare 'dall'interno' il genere stesso grazie a dischi personali, maturi ed imprevedibili come il riuscitissimo “Vansinnesvisor” (ultima incisione per la Hammerheart, 2002) o il più altalenante “Farsotstider” (debutto su Regain Records, 2005), abili nel reindirizzare lo stile del gruppo verso un'ulteriore maturazione mediante una visione meno adolescenziale del sound Viking: composizioni maggiormente particolareggiate, soluzioni ritmiche e vocali meno scontate e a volte inedite per il genere, e soprattutto un'atmosfera terribilmente oscura ed apocalittica – e quindi lontana da quella dello pseudo-Viking (specialmente odierno) fatto solamente di prevedibili ascese verso le sale d'oro, morti invariabilmente gloriose e super guerrieri imbattibili con in zucca solo la voglia di spaccare teste.
“Farsotstider”, tuttavia, non aveva saputo entusiasmare per tutta la propria durata, rimanendo vittima di cali d'ispirazione che affossavano gli eccellenti picchi raggiunti in alcuni casi in quel lavoro; a questa situazione di parziale regressione si è sommato il terremoto in line-up del 2007, che ha visto abbandonare (in termini amichevoli) sia il secondo chitarrista Henrik Svegsjö (non rimpiazzato: il gruppo torna a esser un quintetto come all'epoca di “Thyrfing” e “Valdr Galga”) che, soprattutto, il carismatico vocalist Thomas Väänänen: lunghe ombre parevano stagliarsi sul futuro del gruppo nord-europeo, chiamato praticamente a risorgere dalle proprie ceneri vista la spiacevole situazione creatasi.
Ed “Hels Vite” è proprio questo: l'alba di una nuova era per il gruppo di Stoccolma.
A segnarla è l'ingresso del nuovo vocalist: per rimpiazzare una voce significativa come quella di Väänänen serviva un nome di peso e, ben consapevoli di ciò, i Thyrfing non si sono limitati a scegliere un nome di ripiego, ma hanno tirato fuori un inatteso coniglio dal proprio cappello, accogliendo come nuovo frontman Jens Rydén, storica e superba ex-voce dei Naglfar dei tempi d'oro.
Inutile specificare quindi come il gruppo non perda niente sotto il profilo vocale, incamerando volentieri le laceranti e disperate strida di Rydén e per certi versi assecondando le rantolanti, velenose stilettate d'odio del vocalist con un nuovo cambiamento di direzione, che ulteriormente accentua quello già in atto da un lustro abbondante all'interno del gruppo svedese.
“Hels Vite” è difatti un disco estremamente tetro e cupo (d'altronde sono passati quasi dieci anni dalla rigogliosa vitalità di “Valdr Galga”...), costituito da un Black moderno e quindi profondamente contaminato, ma sempre piuttosto epico e ora caratterizzato da cadenze al limite del Doom: non che il buon Jocke Kristensson si sia mai distinto per la sua velocità dietro le pelli, ma in questa occasione il passo si fa spesso ancor più pesante e distruttivo che in passato.
Questo dà modo alla chitarra ferocemente abrasiva ed opprimente di Patrik Lindgren di creare un imponente muro di suono, ostentando un riffing dalle melodie (av)vincenti, arricchite da secondari arpeggi aggiuntivi e soprattutto muscolosamente sostenute dall'importantissimo e poderoso basso elettrico di Kimmy Sjölund, mentre il tastierista Peter Löf (da sempre fondamentale per gli equilibri del suono dei Thyrfing) interviene accortamente con le sue nebbiose atmosfere spettrali o con ferali rintocchi di pianoforte (“Tre Vintrar – Två Solar”) per aggiungere motivi e melodie, per enfatizzare il lavoro delle chitarre oppure per costruire sfondi lavorando nell'ombra.
Le chitarre acustiche continuano a rimanere a disposizione (e sono spesso utilizzate per break atmosferici che spezzino il ritmo), mentre sono definitivamente spariti gli ultimi rimasugli di arrangiamenti folkeggianti o violini sintetici, al limite sostituiti da brevi, oscure parentesi orchestrali (catastrofiche e maestose in “Isolation”) mentre assumono inedita importanza i severi e solenni cori maschili (a volte opera della voce pulita del collaboratore Toni Kocmut, a volte più o meno elaborati dai sintetizzatori di Peter Löf), che aggiungono varietà duettando soventemente con la voce tormentata e profonda di Jens.
La sola “Becoming the Eye” fallisce nell'impressionare positivamente, mentre tutti gli altri brani si rivelano composizioni intelligenti, convincenti e sempre interessanti nonostante la durata sostanziosa (che mediamente si aggira sui sette minuti), mostrando un gruppo sempre più padrone della propria maturità stilistica e tornato su livelli impeccabili, ma soprattutto dotato di una personalità invidiabile, cosa che rende i Thyrfing capaci di guardare avanti senza preoccupazione alcuna per quanto riguarda tendenze attuali o gusti del pubblico: canzoni come la formidabile “Från Stormens Öga” permettono di capire come si possa fare del “Viking” che suoni moderno e consapevole pur discendendo sempre (seppur alla lontana) da antenati quali Bathory (i ritmi, i cori, il feeling epico), primi Enslaved (l'oscura asprezza dei panorami, la voce tagliente) o primi Borknagar (l'ecletticità, la poesia).
Imperterrita, l'evoluzione dei Thyrfing prosegue: ed è giusto che sia così, specialmente se i risultati comprendono dischi mirabili come "Hels Vite".