- Niko Skorpio (Niko Sirkiä) - Voce, Tastiere
- Nikko Ruotsalainen - Chitarra
- Jori Sjüroos - Batteria, Voce
1. Everlasting (6:07)
2. Yet the Watchers Guard (8:56)
3. The Unknown Kadath in the Cold Waste (3:49)
4. Elemental (9:18)
5. Who Rides the Astral Wings (7:56)
6. Crying Blood and Crimson Snow (4:42)
Stream from the Heavens
I padri del Funeral Doom.
E' questo l'appellativo più adatto a questa semi-sconosciuta band, la cui popolarità, a differenza di altri acts più recenti quali ad esempio Shape of Despair, Khanate o Dolorian , non ha mai varcato i confini del proprio (sotto)genere, rimanendo negli anni niente più che un gruppo di nicchia per una ristrettissima cerchia di appassionati e fans, ma contemporaneamente guadagnando nell’ambiente un fama da mito, da cult-band.
Formatosi nel 1990 e già sciolti circa tre anni dopo, prima che il loro unico full-lenght venisse pubblicato dall’italiana Avantgarde Records, il gruppo finlandese ha inoltre all’attivo un paio di bootlegs e demo ufficiali, tra cui il più famoso è certamente “Fhtagn nagh Yog-Sothoth” del 1991, registrato da un’anomala formazione a quattro e nel cui titolo viene mostrata una delle caratteristiche principali della band, ovvero l’influenza di H.P. Lovecraft a livello lirico. Innovativa ed estrema, quella demotape fu seguita dalla registrazione (con il gruppo tornato a essere un three-piece), a fine ’92, di questo “Stream from the Heavens”, pubblicato solamente nel ’94 in seguito ad una serie interminabile di ritardi, peraltro dopo che il gruppo s’era già sciolto nell’anonimato più totale.
Dalla pubblicazione del disco in poi, tuttavia, i Thergothon hanno goduto di una rivalutazione ‘postuma’ che li ha resi una vera leggenda ed una importantissima fonte d’ispirazione per le molte altre bands che nella seconda metà degli anni ’90 stavano forgiando il suono del Funeral Doom Metal.
All’epoca il trio finnico composto da Niko “Skorpio” Sirkiä, Jori Sjüroos e Nikko Ruotsalainen proponeva uno dei sound più pesanti, oppressivi e devastanti che si potessero ascoltare, un suono fatto di tempi lentissimi, eterni, faticosi, costruito su chitarre ribassate e talmente pesanti che l’assenza del basso non viene praticamente notata, un suono in cui la varietà vocale è sorprendente per un disco di quei tempi, tra growls inumanamente bassi e armoniosi/lamentosi canti in voce pulita, un suono in cui le tastiere di sottofondo hanno un ruolo fondamentale, ampliando oltre i confini del reale le atmosfere del gruppo, e creando quelle ambientazioni soprannaturali, mistiche ed eteree che il titolo di questo platter esemplifica in modo perfetto: “Stream from the Heavens”.
Suonato in maniera non più che discreta e prodotto in maniera vergognosamente approssimativa, questo unico disco dei Thergothon deve il suo (relativo) successo al mood creato, uno dei più desolanti, magici e profondi mai uditi nella musica estrema; le sue sfaccettature ci rendono testimoni di paesaggi indefiniti ed indefinibili, misteriosamente arroccati fra la letteratura gotica, gli antichissimi misteri dei nostri antenati e le sensazioni più recondite delle nostre coscienze: “Stream from the Heavens” riesce a scavare a fondo, grazie a quei growlings che provengono dai più inarrivabili abissi, grazie a quelle tastiere che ci circondano e colmano l’aria con il loro senso di ‘vuoto’ soprannaturale, e grazie sopratutto quelle chitarre che, come altissime onde, ci assalgono una dopo l’altra, instancabilmente ed incessantemente, senza che l’ascoltatore possa fare alcunché per fermarle e difendersi dai loro affondi.
E non immaginate che il disco sia la stessa ‘pappa’ riproposta per tutti e quaranta i minuti del disco: premessi come punti fermi l’omogeneità e la coerenza delle scelte musicali del gruppo, l’ascoltatore avvezzo alle sonorità estreme sarà piacevolmente sorpreso dagli accostamenti della doppia voce (“Everlasting” e “Who Rides the Astral Wings”), dalle tristissime evoluzioni solistiche delle chitarre e dai tenui cori (l’immensa “Elemental”), dagli stacchi di sola tastiera e chitarra acustica (l’ancestrale “The Unknown Kadath-in-the-Cold-Waste”), dal sovrapporsi degli strati di chitarre o dai semplicissimi ma efficaci interventi di una tastiera spaziale e malinconica (“Crying Blood + Crimson Snow”): insomma, per essere del 1992 è un disco coraggioso ed estremamente personale, portatore di idee che aiuteranno il Doom a rinnovarsi nelle sue varianti più estreme, e intriso di atmosfere depressive capaci di schiantare qualsiasi luce, così come di accendere lampi cremisi di crepuscoli lontani, o di proiettare la mente in viaggi fra le più nascoste parti del cosmo.
Difficile e multi-dimensionale, seminale ed emozionante, “Stream from the Heavens” è un disco che merita il dovuto riconoscimento nonostante interesserà pochissimi ascoltatori e lettori, ma che non può mancare nella discografia di chi rastrella il panorama musicale in cerca della musica più lenta, devastante e penetrante; onore ad un gruppo, i Thergothon, che ha scritto una delle pagine più stranianti ed importanti del Funeral Doom e del Metal estremo.
" ... Nightwing calls...
Wailing of the Winds
Chills me from inside, snow is red around me ... "