- TM Stevens - voce, basso e tastiera
- MFA Kera - voce
- C-Nice - voce
- TC Tolliver - voce
- Michael Barnes - chitarra
- Neil Zaza - chitarra
- Andrè Meyer - chitarra e basso
- Dominic Durham - tastiera
- Garry Sullivan - batteria
- Hani Alì - voce e percussioni
- Carlos Izaguirre - percussioni
- Akinola Famson - percussioni
- Will Calhoun - percussioni
1. What (03:17)
2. Up (04:44)
3. Fight Fight Fight (04:45)
4. Gotta Get My Move On (03:44)
5. Afro Soul (03:42)
6. Tell Me The Truth (05:36)
7. Wake Up (05:04)
8. Why We Rock So Hard (It’s Our Roots) (05:54)
9. Mama Said (04:35)
10. We Will Never Do That Again (05:12)
11. Weird G ( 05:07)
12. Africans In The Snow (06:49)
13. Ayeahi (04:57)
14. Why We Rock So Hard (Raga Muffin Rootdown Remix) (04:11)
Africans In The Snow
Mostro di stravaganza ed eccentricità, TM Stevens colpisce ancora con un’opera assolutamente indefinibile, frutto di una concezione musicale che si estende in modo universale ed illimitato. Bassista dalle grandi doti, Stevens ha alle spalle collaborazioni con personaggi del calibro di Steve Vai, Cindy Lauper, Little Steven, Tina Turner e Billy Joel, mentre la sua voce compare in classici come Living In America di James Brown. Sebbene nato negli Stati Uniti, a New York, TM non dimentica le proprie radici africane, e l’amore per questa terra diventa un elemento fondamentale nel sound del carismatico artista. Se di fronte alla bizzarra copertina si immagina di essere alle prese con un album dalle tinte esclusivamente Afro, però, ci si sbaglia di grosso: alle percussioni africane ed al Roots Reggae, Stevens abbina elementi che spaziano dall’ Hard Rock al Funk e al Soul, creando così un genere tutto nuovo, da lui chiamato African Funk Metal Hardcore. Ad anticipare i mille contrasti sonori che si incontreranno durante l’ascolto, ci pensa già l’artwork dell’album: sulla copertina, infatti, accanto al viso di TM pitturato come quello di uno stregone, campeggia la sagoma di un continente africano paralizzato dal ghiaccio. Non si tratta di una banale parodia: TM vuole trasmettere un messaggio, evidenziare come, in questi tempi difficili, il nostro pianeta sia cambiato radicalmente e come ciò che al primo sguardo può sembrare un’assurda contraddizione stia ormai divenendo normalità.
Proprio al continente nero rimandano le sonorità che introducono l’opener What, la quale esplode dopo circa un minuto in uno scatenato Crossover: il risultato, piuttosto particolare, accosta un potente sviluppo strumentale alla Rage Against The Machine ad una corposa voce nera degna del miglior bluesman. Fight Fight Fight propone sonorità Metal arricchite da un suggestivo assolo di chitarra, mentre il cantato di TM, impegnato in liriche al vetriolo contro il potere e l’arma dell’ignoranza, sfodera un entusiasmo ed un’ energia difficilmente imitabili. Shocka Zooloo - così TM ama farsi chiamare - si rivela un singer abile ed eclettico e la sua grande versatilità trova conferma in brani dalle forti tinte Hip Hop (Gotta Get My Move On; Mama Said) così come in pezzi più Funk quali Wake Up e Ayeahi. Nella calda Why We Rock So Hard (It’s Our Roots) vengono abilmente amalgamate ruvide chitarre, inserti tastieristici e coinvolgenti episodi Raggamuffin. La medesima melodia viene addolcita mentre il ritmo in levare sostituisce le violente chitarre nell’ultima traccia del disco: Why We Rock So Hard (Raga Muffin Rootdown Remix). Così come lo sviluppo strumentale, anche la voce di Shocka si adatta alla nuova versione del brano, andando a chiudere l’album con un capitolo che appare totalmente inedito grazie alle notevoli capacità dei musicisti coinvolti.
Ammirato e recensito in ambienti Metal così come in quelli Reggae, TM Stevens riesce a sconvolgere l’ascoltatore andando oltre ogni aspettativa e seguendo sempre la via più imprevedibile e meno scontata. Come l’artista stesso scrive divertito all’interno del booklet, questo suo lavoro manderà in crisi quegli ascoltatori abituati a disporre ordinatamente i proprio dischi in base al genere musicale. Il consiglio che Stevens dà loro è quello di separare la musica in due gruppi: quella buona da una parte, quella cattiva dall’altra. Su dove questo Africans In The Snow debba stare non sorgeranno certo dubbi.