Guy Marchais Guitars
Dave Culross Drums
Derek Boyer Bass
Terrance Hobbs Guitars
Frank Mullen - Vocals
1. Cycles of Suffering 03:56
2. Purgatorial Punishment 02:44
3. Eminent Wrath 03:40
4. As Grace Descends 03:04
5. Sullen Days 04:57
6. Pinnacle of Bedlam 03:42
7. My Demise 04:03
8. Inversion 03:50
9. Rapture of Revocation 03:49
10. Beginning of Sorrow 04:32
Pinnacle of Bedlam
I maestri del brutal death metal tecnico Suffocation hanno preso l’inizio del 2013 per ritornare sulle scene con un nuovo lavoro, Pinnacle of Bedlam, settimo full-lenght in una carriera qualitativamente esaltante ma forse non riconosciuta a dovere. A distanza di quattro anni dal meno esaltante (per il sottoscritto) Blood Oath, il combo di New York ritorna con la formazione originale dai tempi della reunion (2002) ad eccezione di Mike Smith, deficitario e prontamente rimpiazzato da Dave Culross, già membro della band in occasione del mini-CD Despise the Sun (1998).
Ispirato al libro Tibetano dei Morti ed al ciclo della vita e della morte, il nuovo lavoro dei Nostri si distingue innanzitutto per una copertina esaltante ed in secondo luogo per alcune novità stilistiche di tutto rispetto le quali, a mio parere, hanno dato nuova linfa al sound della band. Senza snaturare l’approccio tecnico e tipicamente brutal del loro sound, il quartetto si è anche dilettato in alcune soluzioni particolari.
Una produzione stellare, suoni cristallini ma taglienti come rasoi sono il contorno di un album al fulmicotone. L’attacco non lascia spazio all’immaginazione: Cycles of Suffering lancia sull’ascoltatore una quantità immane di cambi di tempo tra violenti blast beats, controtempi e riffs intricati all’ennesima potenza. Mullen e la sua voce cavernosa sembrano non sentire il passare del tempo ed ecco che il primo capolavoro è stato archiviato. Il ritornello facilmente identificabile tra questo marasma tecnico e brutale dona un valore aggiunto. Culross dietro alle pelli dedica anima e corpo, ribadendo la sua bravura e classe. Tempi dispari, tanto groove e riffs come piovessero sono le caratteristiche della successiva Purgatorial Punishment, traccia fangosa e lugubre. Le sporadiche accelerazioni danno un po’ di respiro ad una traccia che rende veramente onore al nome della band. Il solismo tecnico della sei corde ci introduce ad una Eminent Wrath che viaggia principalmente su tempi veloci, senza dimenticare una gran numero di cambi di tempo e strutture complesse.
Lanciato come singolo introduttivo all’album, As Grace Descends riversa sull’ascoltatore una quantità immane di blast beats a supportare un riffing sovente dal taglio thrash. La struttura è maggiormente esile e diretta anche se non mancano down-tempo ove le tessiture maggiormente progressive escono allo scoperto. L’introduzione arpeggiata di Sullen Days getta un manto di malinconia estremo prima che death metal entri improvvisamente in azione. Inizialmente su tempi medi, la traccia successivamente esplode in tutta la sua veemenza per terminare nuovamente su toni grigi. L’ efferatezza di My Demise e Inversion non conosce limiti anche se man mano che si procede all’ascolto dell’album possiamo notare come le tracce tendano leggermente ad assomigliarsi, tale è forse il livello tecnico messo in mostra del gruppo. Ad ogni modo, finché le composizioni sono qualitativamente buone se prese singolarmente, non c’è da lamentarsi.
Avvicinandoci alla fine del disco, Rapture of Revocation esplode in tutta la sua carica rabbiosa. I putridi tempi medi vengono sempre sapientemente alternati a letali up tempo in una bolgia di cambi di tempo. I riffs cadono a valanga tra stop and go di una rara potenza distruttiva. A terminare il lavoro troviamo la versione “rinfrescata” di un classico come Beginning of Sorrow, originariamente proveniente dall’album Breeding the Spawn (1993). Inutile descrivere la bontà del songwriting giacché l’album appena citato risiede meritatamente tra le pietre miliari del death metal, nonostante la registrazione deficitaria di allora.
Tirando le somme dell’ascolto, Pinnacle of Bedlam si distingue dal suo predecessore per un songwriting leggermente più fresco e per una produzione decisamente migliore. Il tasso tecnico della band ormai non si discute più ed è veramente difficile trovare qualcosa da obiettare a riguardo. Un buon ritorno da una band che ha sempre fatto del brutal death la sua bandiera da sventolare.