Aaron Lewis - Voce, chitarra
Mike Mushok - Chitarra
Jon Wysocki - Batteria
Johnny April - Basso
1. Run Away - 3:39
2. Right Here - 4:13
3. Paper Jesus - 4:14
4. Schizophrenic Conversations - 4:32
5. Falling - 4:20
6. Cross to Bear - 3:40
7. Devil - 5:00
8. Please - 4:24
9. Everything Changes - 3:58
10. Take This - 4:42
11. King of All Excuses - 3:39
12. Reply - 4:14
Chapter V
Seppure in una parabola artistica costantemente in discesa da tre album (partendo dal discreto Dysfunction per approdare al mediocre Shades of Grey), gli Staind pare continuino a mietere successi.
Così anche Chapter V, quinto album della band di Lewis, debutta dritto al numero uno nelle chart di mezzo mondo, segno che la formula post-grunge e alternative-rock ultra-manierista del gruppo suona ancora ben commerciabile e funzionante sul mercato, spremuto a suon del detto "squadra che vince non si cambia".
Se l'opener Run Away mostra ancora una band volenterosa di creare un ibrido musicale personale (nel caso specifico tra il loro primissimo sound e l'ultimo album 14 Shades of Grey), confezionando un pezzo decisamente convincente, il singolo Right Here suona invece quasi un autoplagio alla loro hit del 2003 So Far Away, che a sua volta rapinava una serie di cliché power-ballad vecchi di una decina d'anni.
Paper Jesus, pur confezionando delle interessanti divagazioni heavy-rock nuovamente più legate alle prime sonorità del gruppo (quelle di Dysfunction), nella sua patinatura passatista fa già a questo punto del disco percepire all'ascoltatore il timore di avere fra le mani un altro lavoro per nulla originale o fresco. Timore che viene purtroppo confermato dalle tracce immediatamente successive.
Schizophrenic Conversation, discreta ballad per gli standard della band, suona riciclata pari pari dalle ballate presenti in 14 Shades of Grey, senza evolverne minimamente lo stile; Falling si avventura in una rilettura moscia del mood di Break the Cycle; Cross to Bear mescola il classico "Staind-sound" più radio-friendly ad alcune influenze melodiche emo (furba e non condivisibile soluzione già adottata in un paio di pezzi del disco precedente); la pessima Devil comunica noia se non fastidio; l'ascoltabile Please rialza fortunatamente il livello, mentre con Everything Changes si giunge alla classica immancabile ballad melensa, ovviamente fatta singolo, la quale ha tuttavia almeno il pregio di spezzare il sound, ormai diventato insopportabile, del disco; la trascurabile Trippy lascia spazio a King of All Excuses, che probabilmente secondo le intenzioni della band dovrebbe servire ad accontentare i primi fan: suona infatti molto più post-grunge del resto del lavoro (e molto heavy se confrontata anche con i pezzi di 14 Shades of Grey), e finalmente propone delle idee reali; Reply, costituente un discreto finale, viene salvata da un sound sufficientemente variegato e innestato con delle buone trovate chitarristiche (anche se l'incipit sembra una semplice versione punk-rock dell'inizio di Outside).
Nel complesso, si tratta sostanzialmente di un album leggermente migliore del precedente per il semplice motivo che sarebbe stato arduo far di peggio.
Aaron Lewis, in un'intervista appena successiva alla release, ha dichiarato "Having three straight number one albums was a nice big fuck you to a lot of people who have slagged us".
Forse qualcuno dovrebbe spiegargli che proprio la ricerca ruffiana del numero uno in classifica è riuscita a spazzar via completamente personalità e inventiva dalla sua proposta musicale.