- Annie Clark - Voce, Pianoforte, Programming
1. The Strangers
2. Save Me From What I Want
3. The Neighbor
4. Actor Out Of Work
5. Black Rainbow
6. Laughing With A Mouth Of Blood
7. Marrow
8. The Bed
9. The Party
10. Just The Same But Brand New
11. The Sequel
Actor
Nel 2007 Annie Clark, mascherata dietro il monicker St. Vincent, mise a segno il primo colpo della sua carriera: un frizzante disco d'esordio che spiazzò critica e pubblico imponendosi tra i migliori lavori alternativi di allora. Due anni dopo il fucile è di nuovo carico, ma il secondo proiettile va a vuoto, mancando il bersaglio.
Perchè se Marry Me risultava essere un disco ricercato e fluido, colmo di sfumature e di suggestioni atmosferiche, Actor, seconda fatica per la bambola Annie - fine cantautrice e polistrumentista statunitense - sembra di sicuro il figlio illeggittimo del precedente full-lenght.
Motivo numero uno, un calo qualitativo che affonda le sue radici in una ricerca artistica sì ricercata e peculiare, ma non adeguatamente sostenuta a livello melodico-emotivo; le canzoni che costituiscono Actor sono infatti affreschi fantasiosi e circensi, ma contro cui si sbatte in continuazione alla ricerca di un qualcosa di concreto, di un filo conduttore che in realtà non esiste, se non a timidi sprazzi. Motivo numero due (anche se qui si tratta di un'osservazione oggettiva), un'evidente divergenza stilistica che separa i due album: da una parte un pasticcio di frames elettronici, alt-pop e mood classical fluido e coinvolgente (il primo); dall'altra una robusta costruzione in cui si annodano raffinati arrangiamenti barocchi e stranianti afflati psichedelici (il secondo).
Un cambiamento stilistico quasi netto (e qui c'è da chiedersi quanto avrà pesato il passaggio dalla Beggars Banquet alla leggendaria 4 AD), anche se a persistere è sempre lo stesso approccio cantautorale e alternativo, che d'altronde permette all'album di non sprofondare in un burrone di autoreferenzialità e di pleonastica esaltazione colta. Actor rimane in ogni caso un lavoro meticolosamente pensato, creativo e multiforme, come dimostrano gli squarci noise sfiorati da Marrow (episodio comunque noioso), la sospensione tra spensieratezza infantile e distorsioni di The Neighbors, l'indie pop visionario di Actor Out Of Work e i toni più caldi e distesi della fantastica The Party. A scandire il percorso di questo ricercato ideale pop pseudo-avanguardista vi sono però intoppi non trascurabili, più simili a dei veri e propri bastoni che la Clark (si spera incosciamente) si è messa tra le ruote, frenando evidentemente il valore intrinseco di un album che avrebbe potuto di gran lunga essere migliore: il problema è che Actor tocca i suoi vertici proprio quando il barocchismo - quasi fastidioso come accade in The Strangers - e i numerosi tentativi di 'elevazione' linguistica, palesi riflessi di un'esagerato anelito intellettualistico, cedono ad un sound più morbido e brillante anche se discontinuo (le sognanti The Bed e The Sequel, Just The Same But Brand New, e le poco riuscite oasi psichedeliche di Save Me From What I Want e Laughing With A Mouth Of Blood) che, al di là delle sue sfumature più pacate, non si priva mai di quell'atmosfera giocosa e circense (Black Rainbow) in cui l'intero album è immerso.
Actor è quindi un lavoro da prendere con le pinze vista la sua ricercatezza negli arrangiamenti, nello stesso concetto artistico espresso e in quelle intuizioni melodiche fin troppo spesso falsamente 'colte'. Probabilmente diverrà oggetto di culto per gli appassionati cronici dell'indie pop più barocco e colorato, ma rimane in ogni caso netto il passo indietro fatto dal progetto St. Vincent a soli due anni da quello che fu un disco di gran lunga superiore, che qualcuno magari già starà rimpiangendo.