- Jonathan Spagnuolo - voce
- Luca Arzuffi - chitarra
- Claudio Arsuffi - chitarra
- Xavier Rota - basso
- Ivan Dellamorte - tastiere e voce
- Alberto Baldi - batteria
1. In The Name Of Odin (03:44)
2. Lost In The Forest (05:52)
3. Losing Reality (04:40)
4. Glory To The Gem (07:24)
5. Goblins' Song (06:06)
6. Legend Of The Ice Wolf (04:29)
7. Sign Of The Unicorns (06:00)
8. Resurrection (02:53)
9. Knights Of Darkness (06:00)
Horns Of Silence
Non c’è dubbio alcuno che l’interesse per la cultura scandinava stia andando ben oltre ogni più rosea previsione negli ultimi anni, sfiorando addirittura il trend artistico del momento. Giovani gruppi nascono e già si prefissano l’obbiettivo di ripercorrere la storia di Odino e dell’intero pantheon nordico, schiere di bevitori si spacciano per vichinghi indossando i più blasonati ed pacchiani oggetti di rito, i punti di riferimento non sono più Bathory e Isengard, ma Amon Amarth ed Ensiferum. Gli SpellBlast, nati nel 1999 a Bergamo, si inseriscono perfettamente in questa specie di triste filone musicale. I nostri si erano già fatti notare nel 2004 grazie al demo intitolato Ray Of Time e tornano oggi, sotto Fuel Records (Dark Lunacy, Death SS), con il loro primo album: Horns Of Silence.
Sulla scia degli italianissimi Elvenking, anche gli SpellBlast propongono un Power Metal dalle tinte folkeggianti. Al contrario di Damnagoras e compagni, però, i sei bergamaschi preferiscono trattare tematiche legate alla cultura scandinava piuttosto che semplici leggende fantasy. Purtroppo queste vengono affrontate con una superficialità disarmante, sicuramente più debitrice dei Manowar che di Falkenbach o Moonsorrow. Certo, gli SpellBlast non sono peggio di molti altri complessi attualmente in circolazione, tuttavia è impossibile non storcere il naso di fronte ad una tale ostentazione di nomi e simboli.
Purtroppo, ad accompagnare dei testi a tratti quasi imbarazzanti ci sono sonorità di qualità altrettanto bassa. Una produzione approssimativa non può che rendere ancor più evidente la carenza di idee e personalità in casa SpellBlast. Il sound dei sei lombardi si rifà in maniera palese ai già citati Elvenking, di cui però non vengono mantenute freschezza e vivacità. Le nove tracce di Horns Of Silence risultano soltanto un’accozzaglia di soluzioni scontate e banali, riprese a piene mani da una tradizione tutta italiana. La tanto decantata componente Folk del disco è ridotta qualche innesto tastieristico, obbiettivamente troppo poco (e mal realizzato) per arricchire un lavoro di questo tipo. Nemmeno la presenza di Damnagoras in veste di guest riesce a risollevare le sorti di un disco ormai destinato all’oblio.
Di Horns Of Silence si salva soltanto l’artwork, curato e degno di un’uscita ben più quotata. Il resto, purtroppo, è quasi tutto da scartare. Gli SpellBlast dovranno necessariamente rimboccarsi le maniche se vogliono riuscire ad emergere dal sottobosco Metal italiano, un sottobosco che, sia in ambito estremo che melodico, lascia ben poco spazio a dischi come Horns Of Silence.