Voto: 
5.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
New Line
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Maja Ivarsson - Voce
- Johan Bengtsson - Basso
- Felix Rodriguez - Chitarra
- Jesper Anderberg - Tastiere, Piano, Chitarra
- Fredrik Nilsson - Batteria

Tracklist: 

1. No One Sleeps When I'm Awake
2. 4 Songs & A Flight
3. My Lover
4. Dorchester Hotel
5. Beatbox
6. Underground
7. Crossing The Rubicon
8. Midnight Sun
9. Lost In Love
10. The Only Ones
11. Home Is Where Your Heart Is
12. Goodnight Freddy

Sounds, The

Crossing The Rubicon

Freschi giovincelli provenienti dall'altrettanto fresca Svezia tutta rock e melodia, i The Sounds (da non confondere con gli storici paladini della new wave ottantiana, The Sound) sono un gruppo del quale un panorama così standardizzato come quello indie europeo potrebbe tranquillamente fare a meno. Giunti alla terza fatica discografica con Crossing The Rubicon - che segue di tre anni Dying to Say This to You e di ben sei l'esordio Living In America - la band capitanata dalla singer Maja Iversson ricalca e ricicla, in maniera piuttosto palese, il solito armamentario stilistico per indie-kids e ascoltatori dal cuore fragile, dando alle pubblicazioni un disco che non aggiunge nulla, tanto alla carriera degli svedesi quanto allo scenario indie mondiale.

Inutile approfondire tale discorso con digressioni altrettanto prive di senso, dal momento che i The Sounds, come la maggior parte degli acts indie di quest'ultimo periodo, sono la palese reinterpretazione (se poi di vera e propria interpretazione si può parlare) di quel gigantesco revival new-wave che oltre a invadere letteralmente i palinsesti delle emittenti radio-televisive, ha trovato nel cinismo e nella furbizia delle case discografiche il perfetto trampolino di lancio per un'esagerata (e a volte ridicola) diffusione commerciale. I The Sounds, all'interno di questo irritante disegno di mercato precostituito, non fanno assolutamente una piega e Crossing The Rubicon, alla stessa maniera dei precedenti album, non fa altro che confermare quest'andazzo dell'indie rock/pop post duemila.

Ed è così che ci si ritrova di fronte al solito (e a quanto pare inesauribile) collage di refrain sfacciatamente easy-listening (ma comunque buoni in alcuni casi, come 4 Songs & A Fight e Dorchester Hotel), mood pseudo-sentimentale (Midnight Sun), ritmiche ballabili e sottili rifiniture elettroniche che in questi casi non fanno mai male: senza presentare una minima variazione da ciò che tale scena musicale ha già abbondantemente costruito col tempo, Crossing The Rubicon scorre via come una folata di vento leggera ma altrettanto insignificante e realmente incapace di trascinare. Dal plagio synth-pop di My Lover fino ai patemi da pop-star in crisi sentimentale di Lost In Love e Home Is Where Your Heart Is, per non parlare delle irritanti accozzaglie sonore di Beatbox e del mood retrò di Underground, il disco fatica in maniera palese nell'emozionare l'ascoltatore, insistendo d'altro canto su confini musicali già abbondantemente abusati (a volte positivamente, a volte no) dall'incalcolabile miriade di indie-band post-duemila.

Sebbene le tensioni easy-listening riescano in un modo o nell'altro a tirare fuori qualcosa di più coinvolgente (le già citate 4 Songs & A Flight e Dorchester Hotel e l'atmosfera più decadente della bella titletrack), Crossing The Rubicon rimane un disco insufficiente, in quanto non solo incapace di tracciare una proposta musicale originale, ma anche per la ripetitività e la banalità da cui fuoriesce la maggior parte dei brani in esso contenuta. Peccato che non bastano solo tre canzoni di buon livello per rendere altrettanto piacevole un disco che, al contrario, si arena nella sua stessa, insormontabile sterilità. Dovessero sciogliersi di sicuro non ne sentiremo la mancanza.

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