1. Revival
2. Ghosts Of You And Me
3. Paper Money
4. Ask The Dust
5. Spiritual
6. Kingdoms Of Rain
7. Through My Sails
8. Arizona Bay
9. Jesus Of Nothing
10. No Expectations
It's Not How Far You Fall, It's The Way You Land
Collaborazione alquanto bizzarra e sorprendente questa intercorsa tra Mark Lanegan, una delle voci più venerate ed apprezzate del movimento grunge, ed il duo britannico formato da Ian Glover e Rich Machin, meglio conosciuti come Soulsavers. Pare che Rich abbia sempre apprezzato ed inseguito Lanegan, tanto da mostrare ancora adesso, che hanno se pur a distanza lavorato insieme a questo disco, una sorta di timore reverenziale nei suoi riguardi, d'altra parte il cantante americano da quando non è più il leader degli ormai sciolti Screaming Trees ha prestato la sua voce nei più svariati progetti, dai Queens Of The Stone Age ai Twilight Singers all'album Ballads Of The Broken Seas insieme a Isobel Campbell dei Belle And Sebastian.
Ancor più bizzarro e quasi indecifrabile è il titolo scelto per il secondo album del duo inglese, vale a dire It's Not How Far You Fall, It's The Way You Land, frase rubata dal film francese La Haine di Kassovitz, come indecifrabile è il genere proposto, che partendo da una base trip-hop, tale fu il loro esordio Tough Men Don't Dance del 2003, va ad abbracciare i più svariati e diversi stili, in un mix di rock, elettronica, blues, soul, gospel e country, anche se bisogna precisare che quella dell'artista di Seattle non è affatto una mera collaborazione, dato che lui stesso ha apposto la sua personale firma a ben otto dei dieci brani presenti, e non solo per merito della sua inconfondibile voce, ma anche per averne scritto i testi e curato gli arrangiamenti in molte delle stesse.
La stupenda opener Revival è uno degli apici del disco, perfetto incontro tra trip-hop, rock e gospel, una melodia inebriante ed onirica, in cui la roca e calda voce di Lanegan è accompagnata da un coro di voci femminili, mentre la lieve ed appena percettibile base trip-hop funge da perfetto collante da un brano all'altro e da una sonorità all'altra, permettendo così all'ascoltatore di non essere mai spiazzato e di assaporare con la stessa efficacia il blues arido e gutturale misto all'elettronica di Jesus Of Nothing, il brano meno riuscito del platter, o di Ghosts Of You And Me, a cui partecipa il chitarrista Rich Warren, come le atmosfere liquefatte ed insinuanti di Paper Money, altro pezzo da novanta dell'album, brano sensuale e carico di tensione che ricorda un po' Tricky e che vede un Lanegan muoversi perfettamente a suo agio sempre coadiuvato da cori femminili.
Dopo l'inizio scoppiettante l'album riserva altre liete sorprese, senza però riuscire più a raggiungere quelle vette, come le varie cover, così in una rivisitazione persino di sé stesso Lanegan ripropone la bellissima Kingdoms Of Rain, tratta da Whiskey For The Holy Ghost e rivista sotto questa nuova luce, che la rende più rarefatta ed eterea, come in maniera coerente all'intero lavoro vengono riviste Through My Sails di Neil Young, qui domina il contrasto di voci dato dalle tonalità basse di Lanegan e quelle alte di Bonnie ‘Prince' Billy, No Expectations dei Rolling Stones, di certo quella che più ne esce diversa rispetto all'originale, impreziosita dall'immensa interpretazione e dalla voce roca e profonda del singer americano, che termina poi in un soffuso finale strumentale dominato dal piano, ed anche Spiritual degli Spain, molto vicina al Leonard Cohen più intimista e spirituale, quello di Halleluja per intenderci, cantautore a cui sia Lanegan che Josh Haden, autore della versione originale, non hanno mai nascosto di rifarsi almeno in parte.
Ci sono anche due brani strumentali, Ask The Dust e Arizona Bay, con i quali i due inglesi tentano di spodestare l'attenzione che fin troppo sembra essersi calamitata su quello che secondo le previsioni doveva essere l'ospite d'onore, due brani in cui far sentire la propria estrazione dal Bristol sound, in cui il trip-hop e l'elettronica dei Soulsavers non vengono sporcati dalla voce emblema della scena di Seattle.
Spesso criticato per le sue scelte artistiche, di certo Mark Lanegan dimostra un'incredibile versatilità e capacità d'adattamento, mettendosi sempre in gioco (e difficilmente ne esce sconfitto), e soprattutto ha insaporito il secondo album dei Soulsavers, i quali comunque hanno il merito di aver costruito i giusti presupposti artistici e professionali per la nascente e temporanea collaborazione, dato che entrambi le parti hanno già dichiarato di voler affrontare nuove sfide ed esperienze. Ciò che invece lascia perplessi è la sensazione di un'opera un po' costruita a tavolino, cosa rimarcata dalla considerevole presenza di cover, ed il dubbio che l'album, attualmente molto apprezzato oltremanica, non riesca a farsi ricordare a lunga distanza e perda la sfida col trascorrere degli anni, complici il suo insito anacronismo e la presenza di qualche episodio insipido e sottotono.