- Elliott Smith - voce, chitarra acustica
- Sam Coomes - basso, voce
- Aaron Embry - tastiera
- Steven Drotz - batteria
- Scott Mc Pherson, Aaron Sperske - batteria, percussioni
1. Coast To Coast (05:33)
2. Let's Get Lost (02:27)
3. Pretty (Ugly Before) (04:45)
4. Don't Go Down (04:34)
5. Strung Out Again (03:12)
6. A Fond Farewell (03:58)
7. King's Crossing (04:57)
8. Ostriches & Chirping (00:33)
9. Twilight (04:29)
10. A Passing Feeling (03:32)
11. Last Hour (03:27)
12. Shooting Star (06:01)
13. Memory Lane (02:30)
14. Little One (03:14)
15. A Distorted reality Is Now A Necessary To Be Free (04:32)
From a Basement on the Hill
Corre il 2003, quando la giovane vita di un ragazzo timido e introverso della provincia americana, alla storia Elliott Smith, si spegne prematuramente. Un anno più tardi esce postumo From a Basement on the Hill, sesto album in studio del songwriter del Nebraska.
Un disco postumo non è mai facile da interpretare, tanto meno da giudicare. Aleggiano sempre i dubbi sull'effettiva completezza di un lavoro sul quale il suo autore non ha, per forza di cose, potuto imporre la firma decisiva. C'è di mezzo, spesso e volentieri, anche la componente puramente consumistica dell'operazione discografica. Dubbi e perplessità che vengono fugate in breve da questo From a Basement on the Hill, che ci scopre un Elliott Smith ormai maturo e prossimo, forse, ad altre evoluzioni musicali. Non senza, aggiungiamo noi, il rimpianto di aver perso una voce ed una mente geniale del cantautorato più recente.
Lo si evince fin dalle prime battute, che ci ricorda Smith nella sua veste Pop più comune alle ultime apparizioni in sede di produzione. E' il compimento di un processo evolutivo che dal 1994 ha portato il giovane cantautore a mantenere nell'assetto essenziale la sua chitarra acustica, non senza l'innesto di altre parti in sezione ritmica e con sonorità più elettriche.
La malinconia è ancora una volta il tratto dominante, caratteristica peculiare del suo essere musicista. Le melodie di Elliott Smith a tratti assumono le sembianze di certa musica britannica (Paul Mc Cartney?); ci sono sempre anche le ballate Folk Rock di impatto emotivo davvero enorme. Citiamo Pretty (Ugly Before), A Fond Farewell (una delle traccie di maggiore profondità in tutto il disco) e Twilight.
L'essenza di From a Basement on the Hill è tutta racchiusa nelle domande più tipiche che l'affezionato ascoltatore potrebbe porsi all'ascolto del full-lenght. Che cosa frullava nella testa di Elliott Smith prima che il destino se lo portasse via? Non è facile risponderve, a dire il vero, tanta è la concentrazione di vecchio e nuovo in questo disco.
Cost to Coast, traccia d'apertura, mette in luce un pò tutti gli aspetti del più recente Elliott Smith. L'impianto melodico è quasi soffuso, con percussioni che appaiono distanti ed un arpeggio di chitarra dai tratti dei primi Rolling Stones. E' forse il pezzo più indicativo sulle nuove strade che Smith avrebbe potuto intraprendere di lì a poco. Ma rimaniamo con l'incertezza, naturalmente, anche in virtù del fatto che il resto del disco si snoda su momenti Indie Lo-Fi dallo stile Bright Eyes. Qualche esempio? Strung Out Again, Little One e la stravagante Ostriches & Chirping, tanto per gradire. Senza scordare una traccia che oseremmo definire ad immagine e somiglianza di Elliott Smith, quale Let's Get Lost. Il ricordo più nitido degli occhi impauriti e sempre alla ricerca della stabilità di questo ragazzo che ha deciso di salutare tutti in silenzio. E' tutto nelle sue liriche, una sorta di presagio all'inizio del suo ultimo viaggio: Well i don't know where i'll go now / And i don't really care who follows me there / But i'll burn every bridge that i cross / And find some beautiful place to get lost.
From a Basement on the Hill è un disco pieno, insomma. Pur essendo fatto uscire con aggiustamenti che ne tolgono la personalità di Smith è un full-length di tutto rispetto, che piace molto perchè sembra voler rappresentare proprio l'ultimo respiro di vita di un artista uscito dalla scena troppo in fretta. L'importante, ora, è lasciare che Elliott Smith continui a suonare la chitarra acustica laddove nessuno di noi lo può sentire, perché la sua musica è stata scritta e composta come forma d'arte, inimitabile e proponibile soltanto nella sua veste originale. Lasciamolo riposare in pace.
E' sicuramente uno dei migliori dischi usciti nel 2004, per ricordare un pezzo di musica che manca e mancherà ancora parecchio.