Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Marco Maculotti
Genere: 
Etichetta: 
Kill Rock Stars
Anno: 
1997
Line-Up: 

- Elliott Smith - tutti gli strumenti

Tracklist: 

1. "Speed Trials" – 3:01
2. "Alameda" – 3:43
3. "Ballad of Big Nothing" – 2:48
4. "Between the Bars" – 2:21
5. "Pictures of Me" – 3:46
6. "No Name No. 5" – 3:43
7. "Rose Parade" – 3:28
8. "Punch and Judy" – 2:25
9. "Angeles" – 2:56
10. "Cupid's Trick" – 3:04
11. "2:45 A.M." – 3:18
12. "Say Yes" – 2:19

Elliott Smith

Either/Or

“He's pleased to meet you underneath the horse
In the cathedral with the glass stained black“


E' con questi due evocativi versi che Elliott Smith, cantautore indie di Portland, imbraccia la chitarra acustica e da il via a quello che, pubblicato poco dopo la metà degli anni Novanta, resterà fino alla sua tragica morte il più magnifico degli album della sua brillante discografia. Speed Trials è uno dei pezzi più famosi di questo terzo cd della sua carriera solista, nonché della sua intera poetica, vuoi perché è stato pubblicato come singolo precedentemente rispetto all'uscita di Either/Or, vuoi perché la batteria incessante che sembra spezzare la canzone e le parole sillabate da Elliott sono una novità per quanto riguarda la produzione smithiana del tempo.

Nella biografia “Elliott Smith e il Grande Nulla” è raccontato un aneddoto toccante su questa canzone: Elliott si stava esibendo in un localino e, dopo sei o sette canzoni, un avventore seduto in prima fila si fece sentire ad alta voce con toni tutt'altro che pacati richiedendo a Smith “il suo brano più famoso” (Speed Trials, per l'appunto). Il cantautore fece notare all'uomo che il suo tavolo era pieno di bottiglie vuote di birra e di una moltitudine di bicchieri contenenti avanzi di vari tipi di alcolici. L'avventore, portandogli un certificato, rispose che gli erano stati previsti ancora sei mesi di vita, dopodichè per lui sarebbe stato tutto finito. Speed Trials parla dell'inutilità dell'affaccendarsi umano, del girovagare senza meta in un mondo che non sentiamo mai veramente amico.

Alameda si apre con un arabesco di chitarra, con il quale Smith descrive il viaggio senza meta di un uomo sulla faccia della Terra. Smith racconta di sconfitte, di occasioni perse, treni passati una sola volta e mai più passati. Oppure, peggio ancora, di treni che passano continuamente ma non si riescono mai a prendere, perché l'indole umana è oscura e talvolta paradossale. I giri di chitarra si fanno sempre più disturbanti fino al culminante ritornello:

For your own protection, over their affection
Nobody broke your heart
You broke your own 'cos you can't finish what you start
...
Nobody broke your heart
If you're alone, it must be you that wants to be apart


La solitudine -dice Smith- non può essere imputata agli altri, o non soltanto almeno. Smith ha sempre cantato la solitudine e la difficoltà di relazionarsi al prossimo (praticamente tutto il precedente omonimo album e buona parte di Roman Candle affrontano il tema dell'impossibilità di creare relazioni stabili e sincere contrapposto alla necessità di fare in modo di crearle). Alameda rimarrà uno dei pezzi più belli della sua intera discografia.

Ballad of Big Nothing è una sorta di manifesto del pessimismo smithiano. Forse sarebbe pertinente usare un vocabolo leopardiano e definirlo “cosmico”, ma forse è meglio definirlo “quieto”. E' quieto il pessimismo di Elliott nel senso che a ventisette anni (età fatidica per molte rockstar) sembra aver già maturato una consapevole accettazione dell'inutilità finale di ogni azione umana. Smith in questa canzone canta sereno; siamo di fronte ad una ballata indie-pop di derivazione beatlesiana. “Throwing candy out to the crowd, dragging down the main”, i due versi che aprono il pezzo, sono una splendida metafora dell'esistenza umana; sottrarre caramelle alla folla significa cercare di mettere da parte qualcosa per se stessi, rincorrere qualcosa che reputiamo importante; disperderli per la via principale significa che di fronte ad un universo intero le nostre aspirazioni perdono di senso. Siamo noi le caramelle disperse per la “main”, ci sembra dire Smith; siamo briciole di fronte ad un cosmo che si rinnova continuamente a spese dei suoi componenti:

You can do what you want to whenever you want to
Though it doesn't mean a thing
Big nothing


è una delle massime meglio riuscite formulate da Smith nelle sue canzoni. Siamo liberi di fare tutto quello che vogliamo, di dannarci l'anima e distruggerci fino a raggiungere qualcosa, ma alla fine nulla ha significato rapportato ad una totalità che ci sfugge. Vediamo solo fino al nostro naso, consideriamo importante ciò che non lo è davvero. E la cosa peggiore è che scrutando la verità e abbandonandosi al Nulla la nostra esistenza sarebbe ancora più inutile, più vuota. Il Grande Nulla, appunto.

Leviamoci subito il dente: Between the Bars forse è a buon diritto la più grande canzone mai scritta da Elliott Smith. Una melodia struggente che regge sussurri malinconici per i due minuti e mezzo del brano. Al solito, si direbbe. Come ogni altra canzone di Elliott Smith. Giusto? Sbagliato.

Drink up baby, stay up all night
With the things you could do
You won't but you might
The potential you'll be that you'll never see
The promises you'll only make


Bevi tutto di un sorso, bambina. L'alcool è un altro tema dominante nella poetica smithiana, anche perché Smith ha sofferto notoriamente di alcolismo, in particolar modo negli ultimi anni del decennio Novanta. L'immagine però non è squallida, brutale: tutt'altro. Between the Bars è una ninna nanna che Elliott dedica alla sua “bambina”. Si parla ancora di occasioni perse, di potenzialità inespresse, sconosciute persino a noi stessi, di promesse che abbiamo fatto ma mai mantenuto. Promesse mai mantenute a noi stessi:

Drink up baby, look at the stars
I'll kiss you again between the bars
Where I'm seeing you there with your hands in the air
Waiting to finally be caught
Drink up one more time and I'll make you mine
Keep you apart, deep in my heart
Separate from the rest, where I like you the best
And keep the things you forgot


Between the Bars parla della difficoltà di relazionarsi al prossimo, ancora una volta. Le “bars” della canzone sono le “sbarre” di una prigione, gli ostacoli invisibili che ci dividono. Smith parla di “baciarsi attraverso le sbarre”: è impossibile abbattere queste barriere, il massimo che possiamo fare è passare attraverso le crepe che ci sono in esse per raggiungere una pallida parvenza di soddisfazione.
Ma c'è anche una lettura ulteriore: “bars” significa sì “sbarre”, ma anche “bar”. “Baciarsi in mezzo ai bar, attraverso le sbarre” allora significa rincorrere un istante di realizzazione tramite l'alcool, oppure nonostante l'alcool? Elliott non ci suggerisce alcuna risposta. E ancora, se gli amanti sono divisi da sbarre, chi è in prigione dei due? Smith, l'alcolista, o la sua “bambina”, a mente lucida ma forse proprio per questo capace solo di ragionamenti squadrati, incapace di trovare la crepa, la via d'uscita? Anche in questo caso nessuna risposta.
L'unico modo per essere felici, sembra dire Smith, è “tenerci nel profondo del cuore, separati da tutto il resto”: il ricordo nostalgico è l'unico modo per godere veramente dei bei momenti dell'esistenza.

Con Pictures of Me i toni ritornano più colorati. E' un'altra ballata pop in stile Beatles, ma il tema ancora una volta è delicato. Spesso Elliott Smith veniva (e viene tuttora) nominato in quanto “cantore della malinconia”, “poeta della solitudine”, “Mr. Misery” (parafrasando il titolo di una sua nota canzone). A Smith questo dava maledettamente fastidio: lui stesso riconosceva che la malinconia era elemento base della sua poetica, ma non sopportava l'idea che la poetica di un artista ne dovesse compromettere il lato umano. La poetica e il lato umano sono due facce distinte della stessa persona: la prima nasce nei meandri della psiche umana, cresce e si ingigantisce a poco a poco mentre quasi non ce ne accorgiamo, esplode infine in manifestazioni d'eccesso (l'arte appunto, ma anche la tossicodipendenza, il suicidio). Il lato umano, al contrario, è l'immagine esteriore di una persona, quello che gli altri possono vedere. Smith, a detta delle persone a lui più vicine durante la sua vita, era un individuo estremamente divertente e gradevole, sempre disposto a scherzare, a stare in compagnia, a tirare su di morale gli altri:

I'm not surprised at all and really, why should I be?
See nothing wrong
See nothing wrong
I'm so sick and tired of all these pictures of me
Completely wrong
Totally wrong


A Smith dava fastidio il fatto che gli altri vedessero questa sua componente “malinconica” come una stranezza, una mostruosità, una malattia cancerogena. “Non mi sorprendo di nulla, perché dovrei? Non ci vedo nulla di male”, canta. Smith non vedeva nulla di male negli angoli oscuri della sua psiche, o meglio ancora non vedeva nulla di male nel metterli giù in versi, nero su bianco, non vedeva nulla di male nell'imprigionarli tra i solchi di un cd.

No Name #5 sembra in tutto e per tutto una pagina strappata dal diario segreto di Smith. “Sweet, sweet smile that's fading fast' / Cos everybody's gone at last” è ancora una volta un amaro lamento di solitudine, di promesse non mantenute, di amanti sognate, raggiunte e poi scappate. Il “sorriso che svanisce rapidamente” è il modo più chiaro in cui Smith poteva descrivere la fugacità della felicità umana. Nella seconda strofa afferma addirittura che non spera più in niente, perchè “tutti alla fine se ne vanno”. O forse “tutto”, alla fine, passa. No Name #5 è in assoluto il pezzo più struggente dell'intero album.

Rose Parade invece si apre con un giro di chitarra di una freschezza assoluta e con un verso che strappa un sorriso. “They asked me to come down and watch the parade/To march down the street like the Duracell bunny”. Ancora una volta Elliott descrive l'insensatezza di vagare nel mondo, ma stavolta lo fa con una metafora quantomeno bizzarra e divertente: l'uomo è paragonato al “coniglietto della Duracell”, ad una pila che non finisce mai, ad un corpo in eterno movimento. Smith mette in scena una specie di teatrino dell'assurdo, descrivendo persone e comportamenti tra il paradossale e l'esilarante. E' un po' come leggere un novello “Sabato del villaggio” ambientato nell'America degli anni Novanta: la gente si affanna e si sforza di divertirsi e fare festa, mentre Smith guarda le sagome di umanità con un sorriso amaro. Sembra quasi divertente la cosa, senonchè “When they clean the streets I'll be the only shit that's left behind” è uno dei versi più deprimenti mai scritti da Smith. “Quando puliranno le strade io sarò l'unica merda rimasta” significa che quando la festa sarà finita e non ci sarà più traccia dei festeggiamenti, la solitudine ritornerà prepotentemente e non ci sarà alcun modo per cacciarla.

L'influenza dei Beatles sulla musica di Smith si fa visibile come non mai a partire da questo terzo album, e Punch and Judy ne è la prova lampante. In questo pezzo c'è una sorta di elogio dell'adolescenza come età limpida, in cui si sogna ancora una vita fatta su misura dei proprio sogni (“They draw the curtain, wait for a call/Pretty lucky if they get any kind of response at all”). Smith in questa canzone canta la mancanza di responsabilità che caratterizza l'età adolescenziale, il candido menefreghismo di poter ripetere due volte lo stesso errore (“Gonna make the same mistake twice”): non importa se un'azione è giusta o sbagliata, ma conta se quando abbiamo deciso di intraprendere quella strada eravamo davvero convinti. Come un bambino che cade dal seggiolone due volte di fila per raggiungere un giocattolo poco più lontano.

Angeles è l'altro capolavoro assoluto dell'album, con Between the Bars: non è un caso se il regista Gus Van Sant ha utilizzato questa canzone in addirittura due sue pellicole. Angeles ad una lettura superficiale si distacca dal resto dell'album per l'argomento che tratta: vuole infatti essere un pezzo di protesta contro lo strapotere delle major, le grandi case discografiche americane (il titolo Angeles si riferisce a Los Angeles, metropoli statunitense che pullula di sedi di multinazionali discografiche); è anche per l'argomento che tratta che è diventato uno degli anthem dell'indie statunitense degli anni Novanta, nonché probabilmente il pezzo più famoso dell'intera discografia di Smith:

Picking up the ticket shows, there's money to be made
Go on and lose the gamble, that's the history of the trade
And you add up all the cards left to play to zero
And sign up with evil
Angeles


Il testo è diretto, ma la voce di Smith è lievissima. Dolce come non mai. Non può essere solo una canzone contro le multinazionali, è evidente. Ci deve essere per forza un secondo livello di lettura, qualcosa che unisca Angeles al resto dell'album.E all'ultima strofa, eccolo qua:

I could make you satisfied in everything you do
All your secret wishes could right now be coming true
And be forever with my poison arms around you
No one's gonna fool around with us
No one's gonna fool around with us
So glad to meet you
Angeles


La doppia lettura è la seguente.

Ad un livello di lettura superficiale a parlare è il grande discografico, che assicura fama e successo all'artista (un po' come il gatto e la volpe con Pinocchio, insomma), abbracciandolo per sempre con le sue “braccia velenose”, ovvero vincolando in modo crudele ed umiliante alle logiche di mercato. La conclusiva frase “così felice di incontrarti, Los Angeles” rappresenta l'ingenuità dei giovani musicisti che vengono intrappolati nel sistema delle major.

Seconda lettura. Ovviamente Smith si rivolge alla donna che ama, facendole una promessa che durerà per tutta la vita. Ma subito l'avvisa che se accetterà dovrà stare per sempre abbracciata dalle sue braccia velenose (i suoi problemi di relazionamento, la tossicodipendenza e l'alcolismo): spesso quando Smith proponeva Angeles live sostituiva a “poison” l'aggettivo “broken”, un altro accenno alla tossicodipendenza. L'ultima frase acquista allora un altro significato: stando così le cose, se una donna davvero lo accetterà per come è vorrà davvero vivere tutta la vita abbracciata a lui, sebbene le sue braccia siano “velenose”, sarà davvero tutto perfetto. “Nessuno potrà mai prendersi gioco di noi”: è come se gli amanti, se davvero innamorati l'uno dell'altra, siano una realtà indipendente (e non sottoposta alle regole del sistema, appunto), un microcosmo conosciuto solo da loro e troppo prezioso da condividere con la massa. “Angeles” allora in quest'ultimo verso diventa “angels”, “angeli”: dopo una vita impreziosita da un amore tanto grande, persino la morte (l'incontro con gli angeli) sarà una cosa da accettare con il sorriso sulle labbra.

Cupid's Trick invece tratta l'amore da un altro punto di vista, sicuramente più disilluso. L'amore è visto stavolta come un modo di “accendere” l'animo umano, una sorta di fiamma fugace capace di far gemere di passione per pochi secondi (“Lit me up/It's my lie” viene ripetuto all'infinito). Ma purtroppo appunto, questa cosa magnifica che è l'amore (o forse in questo pezzo è meglio dire il sesso) non dura che pochi istanti. Smith nella seconda strofa canta “Cupid's trick comes down to shake and deal/The stupid kick that makes me real”. Le frecce di Cupido scuotono e feriscono, è un “colpo che ti fa sentire reale”. E' un'emozione forte, dunque, che da una parte ti innalza e dall'altra ti getta nel fango, che ti fa piangere lacrime metà di felicità e metà di dolore. E' un “colpo stupido” però, senza alcun particolare senso. Ma d'altra parte è uno dei pochi colpi che possono far sentire vivo un essere umano, sembra dire Smith. Tutto ritorna con la logica del Grande Nulla.

2:45 A.M. è davvero l'elegia della solitudine. I primi due versi sono poesia pura: “I'm going out sleepwalking
Where mute memories start talking
”. Elliott, sonnambulo, esce di notte, “quando i ricordi muti iniziano a parlare”. Smith si riferisce alle passeggiate notturne che era solito fare, durante la sua permanenza a Los Angeles, per i tunnel della metropolitana. Erano i tempi in cui, per sfuggire all'oscurità della sua psiche (non è un caso se canta “Hidden cracks that don't show/But that constantly just grow”), anziché scrutare l'abisso dentro di sé preferiva circondarsi del buio più assoluto, camminare nelle tenebre su binari che sembravano condurlo dritto alla morte:

It's 2:45 in the morning
And I'm putting myself on warning
For waking up in an unknown place
With a recollection you've half-erased
Looking for somebody's arms
To wave away past harm


Erano i tempi in cui si risvegliava in posti sconosciuti, completamente ubriaco, in mezzo a vetri rotti di bottiglie di whiskey e frammenti di memorie di notti passate nel buio più totale.
Ma Smith non beveva o si drogava per essere “contro”, per amore dell'auto-distruzione fine a se stessa, per niente. E ce lo dice lui stesso quando giustifica le sue notti più buie chiedendo “le braccia di qualcuno, in cui annegare i dolori del passato”. In questo pezzo più che mai Elliott dimostra una sensibilità di gran lunga superiore alla media, un disperato bisogno di una manifestazione d'affetto; si dice “stanco di vivere in una nuvola” (“tired of living in a cloud”), come metafora della sua difficoltà di relazionarsi con il prossimo a causa della sua estrema sensibilità d'anima che lo portava spesso in una posizione sì di elevazione (la nuvola, metafora del suo genio poetico riconosciuto) ma anche di insopportabile solitudine.
2:45 A.M. è uno dei maggiori capolavori della sua discografia.

Per l'ultima canzone dell'album Smith mette da parte davvero per la prima volta in tutto l'album la malinconia e il pessimismo che lo contraddistinguono e tira fuori dal cilindro una splendida ballata d'amore per la ragazza che ama: Say Yes.
I primi due versi sono un raggio di sole in mezzo a tanta malinconia:

I'm in love with the world through the eyes of a girl
Who's still around the morning after


E' una delle frasi di Smith più amate dai fan, a dimostrazione che Elliott era anche capace di avere un animo da inguaribile romantico. Say Yes parla di una storia d'amore finita, e poi ricominciata. “Potrò essere uno dei tanti pazzi” -canta- “o un'eccezione alla regola, ma me lo dirai la mattina dopo”. L'amore -sembra dire Smith- va vissuto attimo per attimo, rigorosamente al presente, senza pensare se sarà giusto o sbagliato, senza cercare di interpretarlo precedentemente né di evitarlo a causa di dolori passati.
Say Yes è la vittoria più grande di Smith: con questo pezzo ha dimostrato di non essere solo Mr. Misery, ma anche un uomo dal cuore grande così.

Ellioth Smith non era bello come Kurt Cobain o come Jeff Buckley, altri due geni della musica alternativa degli anni Novanta. La migliore definizione che si possa dare di lui è definirlo un angelo dalla faccia sporca, ma con due ali enormi che lo hanno fatto volare ad altezze davvero infinite.
Diceva che le canzoni sono come sogni, e le sue certo hanno fatto sognare un sacco di gente.

I critici musicali dicevano che era il più grande cantautore americano degli ultimi vent'anni. Si è suicidato la notte del 21 ottobre 2003, all'età di 34 anni, con due pugnalate al cuore.

Either-Or è il più bell'album di cantautoriato da decenni, forse dai tempi di Nick Drake. E' una gemma che cambia la vita all'ascoltatore, una gemma velenosa che però è speciale in sé, che brilla di luce propria senza bisogno di lustrini e lampadine artificiali.

Una nebbia che con la sua luminosità acceca.

 

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