- Benji Webbe - voce
- Mikey “Dee” Demus - chitarra
- Daniel Pugsley - basso
- Arya “Dirty” Goggin - batteria
1. Intro
2. Nobody
3. Pressure
4. Start First
5. Interlude 1
6. Selector
7. Bruises
8. We Want
9. Interlude 2
10. Set It Off
11. Firing The Love
12. Tears
13. World Domination
14. The Fear
15. Interlude 3
16. Babylon
17. The Beginning Of Sorrows (with acoustic version of Pressure as a hidden track)
Babylon
Una volta tanto capita che una band non rifiuti categoricamente ogni forma di etichetta ma, al contrario, la accetti di buon grado e magari la integri con qualche ulteriore dettaglio terminologico. Quasi mai capita invece che una formazione decida di autoconiarsi una propria etichetta in maniera del tutto spontanea e, molto volentieri, scherzosa: è questo il caso del ragga metal, o più giocosamente nu reggae, firmato Skindred, quartetto gallese formatosi nell’ormai lontano 1998 a Newport.
Per quanti non li conoscessero, il progetto Skindred germoglia nella vulcanica mente di Benji Webbe, coloured vocalist della dub-funk-reggae band Dub War, da poco scioltasi per effetto di una violenta incompatibilità con la loro casa discografica, la celeberrima Earache Records. Il loro leader, naturalmente, non si dà per vinto: abbandonato dai precedenti compagni, coi quali invano aveva tentato di ricostruire un nuovo progetto, il caparbio Benji Webbe recluta il bassista Daniel Pugsley, il chitarristi Mikey “Dee” Demus ed il batterista Arya “Dirty” Goggin, presentando così il suo nuovo moniker di Skindred. La genesi del loro debut album, Babylon, è pressoché immediata e la prima pubblicazione avviene già nel 2002, sotto la RCA/BMG. Nonostante il buon successo di vendite e di pubblico, i problemi con le case di produzione sembrano non avere fine e Babylon compare nuovamente per ben 3 volte sugli scaffali dei negozi: ancora nel 2002, con 2 bonus track (già comprese nell’edizione di cui esprimeremo un giudizio); nel 2003, sotto egida della Bieler Bros. Records, con identico artwork e un inutile rimescolamento della tracklist; nel 2004, presso la Lava Records, con rinnovato (e decisamente migliorato) art work e l’aggiunta di The Beginning Of Sorrows ed i 3 interludi; nel 2005, sempre per la Lava Records, con l’inedita We want e un bonus disc di 4 tracce riarrangiate in chiave acustica. Ora la domanda è: dopo una genesi quasi fulminea, valeva davvero la pena ristampare per ben 4 volte un album pressoché identico?
Il valore di un lavoro come Babylon non si può misurare con un semplice calcolo aritmetico che sommi le tracce meglio riuscite e sottragga quelle più deficitarie, che moltiplichi il risultato per il fattore di originalità e lo divida per il quoziente di monotonia (questi ultimi 2 elementi, per altro, si eliminerebbero vicendevolmente). Gli Skindred, infatti, rappresentano alla perfezione uno degli elementi caratteristici dell’alternative metal, ovvero una (quasi) perfetta combinazione di elementi nu metal (non è un caso che lo stesso Benji non esiti, pur con evidente autoironia, ad attribuirsi la definizione di cui sopra) e crossover, che uniscono proposte musicali al contempo eterogenee e fascinosamente compatibili: in questo specifico caso, il metal e, nella maniera più palese, il reggae. Per la verità, nel genoma di Babylon non sono presenti solamente queste 2 basi: ad esse si aggiunge una immediata (per i precedenti discografici) radice dub nonché una piacevole sfumatura funk, con alcuni acerbi richiami al punk e qualche (involontario?) omaggio all’hard core. Oltre ad un emerito giudizio tecnico, non si può non premettere anche un’assoluta simpatia ed altrettanta stima nei confronti del carismatico Benji, il quale, al di là dell’indubbio coraggio dimostrato nell’abbandonare la solida Earache Records e nell’improntare in maniera così sfacciatamente originale e personale un nuovo progetto artistico, si rende protagonista di una performance vocale assolutamente variopinta e magmatica, ricordando in più d’un occasione le schizofreniche evoluzioni vocali di un certo Serj Tankian dei System Of A Down.
Per quanto riguarda una più rigorosa valutazione del disco, è scontato premettere che gran parte del suo fascino o comunque del suo innegabile apprezzamento derivi essenzialmente dall’inedita, in quanto a purezza e costanza, mescolanza del (nu) metal, del reggae e del dub: questo aspetto risulta massimamente evidente soprattutto nelle strofe, laddove un groove decisamente più sostenuto e carismatico ottimamente si sposa con un cantato dalla struttura e dalla cadenza tipicamente reggae e dub. Nei chorus, allo stesso tempo, oltre a qualche divagazione scream facilmente riconducibile all’hard core (talvolta piuttosto azzeccata, a onor del vero), troviamo distorsioni di chitarra ed effetti noise talvolta eccessivi e persino fastidiosi, molto spesso somiglianti e ripetitivi, il cui effetto negativo viene prontamente (ma talvolta non sufficientemente) soccorso dall’assoluta genialità vocale di Benji, decisamente la nota più positiva della band. E’ questo, inevitabilmente, il difetto congenito di un disco come Babylon: svanito l’effetto sorpresa della sua originale proposta, i pezzi si susseguono in maniera francamente noiosa e monotona, tanto più che la loro breve durata, in questo caso (ma non in generale) sintomatica di una varietà creativa pressoché risibile, certo non aiuta ad aumentarne imprevedibilità o variazioni sul tema. Ora si comprende meglio l’introduzione degli interludi che, oltre ad aggiungere una componente “alternativa” anche dal punto di vista formale, spezzettano la monotonia dell’ascolto rigenerando timpani e forza di volontà. Ovviamente non mancano episodi più che validi, i quali, guarda caso, sono proprio le tracce di durata maggiore (con qualche eccezione, naturalmente): la ruvida Nobody, la brillante Pressure (della quale è presente una versione acustica come hidden track nel finale di The Beginning Of Sorrows), la semi-acustica We Want (ottima aggiunta alle prime stampe), la romantica Tears, la delicata Fear (con qualche insolita e piacevole sfumatura R’n’B), l’elettrica Babylon su tutte. Le restanti tracce presentano, seppur in dosi differenti, gli stessi pregi e difetti precedentemente indicati, senza distinguersi in maniera sufficientemente coinvolgente l’una dall’altra.
In conclusione, non si può negare che la proposta degli Skindred sia qualcosa di assolutamente sorprendente e interessante, in grado di soddisfare appieno fanatici del nu metal, appassionati di crossover e devoti del reggae. Allo stesso modo, è evidente come Babylon delinei una linea artistica ed una direzione musicale estremamente chiare e definite, elemento molto spesso assente nel caso di gruppi alle prese con la necessità (o la volontà) di aggredire e soddisfare il maggior numero possibile di frange di pubblico; tuttavia, la monotonia del suo complesso, troppo spesso a galla nel corso degli ascolti, indica chiaramente che le buonissime idee alla base del progetto non sono state ancora pienamente sviluppate e approfondite, conseguenza peraltro naturale della loro recente formazione. Pur con tutte le attenuanti di un disco d’esordio e senza minimamente discutere la genuinità e la qualità del progetto Skindred, Babylon si dimostra ancora lavoro grezzo, all’interno del quale pochi diamanti (pur di buona caratura) rimangono sommersi da troppo carbone: in futuro, Benji Webbe e la sua appassionante crew avranno modo di dimostrare con miglior riuscita quanto realmente valgono.