- Siouxsie Sioux - voce, chitarra in Sin in My Heart
- Steven Severin - basso
- Budgie - batteria, percussiono
- John McGeoch - chitarra
1. Spellbound
2. Into the Light
3. Arabian Knights
4. Halloween
5. Monitor
6. Night Shift
7. Sin in My Heart
8. Head Cut
9. Voodoo Dolly
Juju
Entrati come un turbine negli anni Ottanta, i Siouxsie & The Banshees, notevolmente rinnovati nelle sonorità ormai dedite al Post Punk/Gothic Rock, concepiscono ad un anno di distanza da quello splendido Kaleidoscope che aveva stregato con la sua elettronica oscura, l’altrettanto valido Juju, quarto capitolo discografico.
Il batterista Budgie si è integrato pienamente nella line-up e questo fattore permetterà a Siouxsie Sioux e a Steven Severin di essere facilitati nella fase di song-writing, conservando un’originalità degna dei primi rivoluzionari lavori.
La formazione inglese cerca pertanto di uscire dai canoni del Punk della seconda ondata, distinguendosi con nuovi elementi che potessero correre parallelamente all’opera svolta da acts emergenti quali Bauhaus, The Cure e Sisters Of Mercy: l’attitudine è certamente più rivolta verso meandri più distesi e meno cupi rispetto ad un Kaleidoscope, dove il solo episodio Christine lasciava intravedere una malinconia già espressa nelle dense sezioni di basso; la lezione impartita dai contemporanei Joy Division è stata completamente assorbita in Juju, che manifesta aspetti esotici che saranno ripresi dai Siouxsie & The Banshees per tutta la loro carriera.
Spellbound, primo singolo tratto da Juju, si struttura in un incedere incalzante, dove la progressione della voce di Siouxsie incide particolarmente sul tessuto delle chitarre sottostanti. Splendida è Into The Light, capolavoro di Juju, ricca di percussioni quanto acida nei timbri delle chitarre spettrali: Siouxsie raggiunge toni abbastanza elevati, emergendo dalla base della chitarra e delle sezioni ritmiche con grande efficacia. Arabian Kinghts introduce quella dimensione orientale di cui è colmo l’intero disco, mentre Halloween, più scorrevole e rapida, è figlia di un Post Punk carico di atmosfere Dark funeree. Non mancano neanche momenti più lenti e meditativi, come Nightshift, ma gli episodi migliori sono quelli dove affiora l’anima tenebrosa di Siouxsie, sulla scia della matrice stilistica dei Joy Division (Sin In My Heart).
In definitiva, Juju è un album sicuramente meritevole, che scava nella tradizione del Punk inglese e ne ricava nuove sperimentazioni, non di facile accesso per il pubblico poco abituato agli aloni drammatici dei nascenti Dark-Wave e Gothic Rock. La voce di Siouxsie è uno strumento che diffonde un messaggio rivoluzionario, dai toni oscuri e ribelli al tempo stesso, dal fascino teatrale e quasi presuntuoso: proprio attorno alla figura della bella cantante che già aveva stupito con Kaleidoscope prende forma l’ideale musicale dei Banshees, band che in pochi anni ha saputo scalare le classifiche inglesi ed affrontare diversi tour dell’intera Gran Bretagna, portando con sé gli emergenti Cure di Robert Smith come gruppo spalla.