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- Saeko Kitamae - voce, tastiera, pianoforte, arrangiamenti
- Hermann Frank - chitarra
- Michael Ehre - batteria, chitarra, arrangiamenti
- Mariko Inoue - basso
- Sven Lüdke - chitarra
- Michael Ehre - produzione, backing vocals, arrangiamenti
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1. Above Heaven-Below Heaven
2. Sins for the Gods
3. Nature of Mortality
4. On the Way to Eternity
5. Seek the Light
6. Hands of Might
7. Sinners for False Lights
8. Way to the One
9. Birthright
10. Song of Delight
11. Heaven Above, Heaven Below
Above Heaven, Below Heaven
Cenni biografici: Saeko Kitamae nasce in Giappone nel 1974 ad Osaka, capitale culinaria dell'arcipelago e patria dei più famosi piatti nipponici. Verso i 14 anni la sua vita "emotivamente turbolenta" ricevette uno scossone dall'incontro con l'hard rock e l'heavy metal: una rivelazione folgorante per la giovane adolescente che ne rimase colpita fin nel profondo e iniziò a sognare di compiere dei tour oltreoceano con un gruppo tutto suo. Così mentre le sue coetanee si divertivano a cantare al karaoke, lei si divertiva a mettere sotto sopra la sua scuola formando e sciogliendo qualcosa come un milione di gruppi musicali per suonare nei festival culturali. Dopo un po' di tempo Saeko forma il primo gruppo stabile nel 1995, gli Insania, che diventano Fairy Mirror nel 1999. La madrepatria si rivela però troppo chiusa e restrittiva per le sue ambizioni artistiche: la giovane Saeko infatti mal sopporta il suo ambiente familiare poco entusiasta della sua passione, l'ambiente sociale che la guarda con opposizione e poco assecondamento, la scena musicale meno prolifica di quanto vorrebbe, le famose divise scolastiche alla marinaretta che fanno la felicità di certi feticisti, il sushi andato a male, le continue invasioni di robottoni alieni, gli attacchi di Godzilla ecc. ecc. fatto sta che la sfortunata fanciulla ad un certo punto, per il troppo stress accumulato e per la troppo pesante attività concertistica accusò un malore e venne ricoverata in ospedale. Lì Saeko maturò l'ìdea di prendere il volo per il vecchio continente in modo da farsi una nuova vita, più libera, più vitale. Così, una volta uscita dal ricovero, la giovane donna saluta il suo vecchio gruppo, prepara armi e bagagli e si trasferisce in una nazione più consona alle sue aspirazioni. La meta scelta è la Germania in quanto patria del power metal (e prode alleato del Giappone per conquistare il mondo), che a Saeko piace tanto, e poiché la giovane era già capitata un po' per caso al famoso festival metal Wacken, rimanendone positivamente impressionata
Comunque in Germania incontra Lars Retz, bassista dei Metalium, che si interessa alla sua storia, fiuta il "potenziale" della ragazza e decide di unirsi a lei (non in quel senso!). Dopo esser stata guest nel loro disco As One - Chapter Four, Saeko alla fine riesce a reclutare Hermann Frank (ex-Accept e Victory), Michael Ehre (proprio dei Metalium), Sven Lüdke (Mob Rules ed ex-Murder One) e la connazionale Mariko Inoue (Fairy Mirror) per formare un complesso con cui registrare l'agognato disco.
Subito parte una campagna pubblicitaria da parte dell'Armageddon, l'etichetta di Retz, che piazza l'immagine di Saeko e del suo nuovo disco praticamente ovunque: cartelloni pubblicitari, volantini di festival musicali, locandine di concerti, confezioni di birra, scatole di cereali e così via. Si fa tutto il possibile per promuovere il neonato astro nascente del metal tedesco, che ottiene qualche lieve apprezzamento.
Dobbiamo dire che, molto previdibilmente, Above Heaven Below Heaven di Saeko si rivela una miniera di cliché, fortemente derivativo, schematico e manieristico dalla prima all'ultima nota - il tutto minato da un'attitudine banale e priva di personalità. Non esattamente una cosa positiva, vista la saturazione nel power metal di gruppi clone che annegano nel mare della ridondanza e della staticità musicale. Sfortunatamente il gruppo messo su da Saeko pecca anche nel songwriting, davvero piatto e ripetitivo, nelle atmosfere (o insipide o melense) e nelle linee vocali, spente e prive di mordente nonché alle volte macchiate da una pronuncia poco efficace. Come se non bastasse l'originalità rasente lo zero.
Aggiungiamo infine una produzione discutibile che, nonostante la buona registrazione, appiattisce ancora di più la voce di Saeko, nascondendola a volte dalle chitarre distorte in maniera eccessiva, e tende a togliere genuinità a diverse canzoni.
Questo debutto quindi è solo l'ennesimo, stanco, schematico lavoro che si confonde con anonimato nel panorama musicale odierno.
Saltando un'inutile intro, fin dalla prima vera canzone Sins for the Gods l'essenza del gruppo è racchiusa nel solito campionario di stereotipi: riffoni veloci ed energici, doppio pedale "ad elicottero", arie intrise di una melodia blanda e riciclata, assoli rubacchiati dalla scena heavy inglese o dal power teutonico (e nordico). Altalenante la voce di Saeko, in alcuni fraseggi ipnotica e suadente, nel ritornello però si abbandona a vocalizzi che cercano di essere carichi di energia e vitalità ma che mostrano lacune d'intonazione e scarsa flessibilità delle linee vocali, scarsamente incisive. Questo discorso si applica a tutto il disco perché non ci sono variazioni (eccetto una ballad) nel corso del full-lenght, la formula è sempre la stessa, il recupero di stilemi stra-abusati insistente, la frittezza delle composizioni lampante.
Le tracce peggiori sono forse On the Way to Eternity, una smielata ballata moscia e banalissima (in pieno stile "trallallà") che saccheggia a dismisura un mezzo secolo di canzoni simili; e la conclusiva (eccetto un'outro inutile come l'intro, anche perché ne è la fotocopia) Song of Delight, una derivativissima power ballad che, fra chords distorti ultra-banali e vocals quasi stridule, vince il primo premio nel concorso per il brano più pomposo e stucchevole da qualche anno a questa parte. In conclusione inoltre il pezzo assume toni da marcia pseudo-marziale che ricrea atmosfere d'esaltazione epica ancora più ampollosa e melensa. I brani migliori (o forse dovremo dire i "meno peggio") sono invece pezzi come Hands of Might o Sinners for False Lights (che si avvicina maggiormente a certo power americano), che nonostante la piattezza d'idee hanno comunque fra i riff più grintosi e granitici del disco.
Nulla da dire sulle capacità del gruppo, che suona in maniera impeccabile. Purtroppo quel di cui si ha bisogno è di compositori con un briciolo di creatività (si spera) non di esecutori senza verve, come per un cofanetto dorato e luccicante ma all'interno completamente vuoto. Apprezzabile anche la passione mostrata dalla ragazza, e qui si deve dire che è del tutto sprecata.
In aggiunta ogni tanto fra le canzoni c'è qualche spunto orientaleggiante che però non incide assolutamente sulla composizione del disco, risultando così riempitivi inutili, mal sfruttati e messi tanto per fare relativo folklore nipponico in maniera sbiadita.
Si tratta dell'ennesima proposta che non ha nulla di nuovo, fresco ed interessante da offrire (senza tra l'altro brillare anche solo lontanamente come composizioni) e non è niente di differente dal marasma di gruppi clone che affossano la scena power metal, condannandola alla stagnazione e alla piattezza creativa.
Sfortunatamente il pubblico del genere e l'insieme dei fan di gruppi come quello di Saeko hanno numerosi esponenti che desiderano e apprezzano proprio la stessa minestra riscaldata e riproposta all'infinito, con triste limitazione verso chi ha idee vitali da proporre ma viene snobbato perché esce dai "canoni".
Consigliamo l'ascolto di Saeko soltanto ai saprofiti che ingurgitano qualsiasi disco di power metal con riffoni distorti ma melodici e all'occorrenza qualche ballata trita e ritrita - soprattutto se si considera che in giro ci sono dischi anche più scandalosi che però, visto che l'europeo fa bello mentre il jappo fa brutto, hanno ottenuto molta più considerazione.