- Rob Urbinati - Vocals, Guitar
- Joe Rico - Guitar
- Scott Watts - Bass, Vocals
- Gus Pynn – Drums
1. We Will Prevail 02:18
2.The Ones I Condemn 03:22
3.Give Me Justice 03:27
4.The Great Wall 04:45
5.Tetragrammaton 05:24
6.Atrocity 03:55
7.Hiroshima 04:19
8.The Devil's Martyr 02:36
9.Ultimate Power Corrupts 03:21
10.Desolation Alive 07:19
The Ones I Condemn
Ormai non è più un mistero: questo decennio è il periodo del metal con più reunion di bands storiche. Il metal estremo, in particolare, si è fatto risentire parecchio attraverso nomi che pensavamo morti definitivamente, ma che per un motivo o per l’altro sono tornati tra di noi. Il 2010 si apre col botto per i cultori del thrash vecchia maniera poiché i Sacrifice furono una delle realtà di culto della scena anni 80. I nostri Canadesi esordirono con un album del calibro di Torment in Fire, datato 1985. L’allora mix esplosivo di thrash e death di chiara matrice teutonica fece scuola tra le nuove realtà che stavano crescendo, Slaughter su tutti ( il loro debutto Strappado mostra evidenti segni di contaminazione). Seguirono altri tre album per i quali la band, complice un’evidente maturazione con accrescimento del bagaglio tecnico, scelse uno stile più pulito e propriamente thrash. L’ultimo di essi fu Apocalypse Inside (1993) che precedette uno stop di parecchi anni prima del ritorno con questo The Ones I Condemn.
Pubblicato nel mondo nel luglio dello scorso anno e in Europa solo nel 2010, questa nuova fatica ricalca alla perfezione ciò che di buono venne fatto negli anni passati. L’esperienza di una line-up rimasta imutata per tutto questo tempo rivive in ogni canzone di questo ritorno. We Will Prevail col suo incedere oscuro ed pocalittico incarna la perfetta introduzione per l’esplosione a base di up tempo che sfocia nella title-track. Le influenze più palesi provengono anora una volta dall’Europa con i Destruction anche se la furia dei Sacrifice è qualcosa di ancora legato al loro passato di metà anni 80. La voce rabbiosa di Rob Urbinati ed il lavoro instancabile delle due asce sono gli elementi portanti di questo disco. Le aperture leggermente più accessibili durante gli assoli ed alcuni riuscitissimi mid-tempo mettono il punto esclamativo. Si prosegue con l’altrettanto dinamica e arrembante Give Me Justice, la quale ci esalta per i sui riffs veloci, taglienti e le linee soliste dal tocco drammatico durante le sezioni in mid-tempo. A dir poco entusiasmante l’introduzione a base di tempi lenti di The Great Wall, con tanto di veloce ripartenza a seguire. Ad ogni modo la sezione centrale ne riprende la trama in un devastante crescendo d’intensità.
Tetragrammaton è uno strano espisodio con chiare tinte dark, retaggio delle sperimentazioni anni 90. Le voci filtrate, gli stacchi arpeggiati e le numerose linee soliste tuttavia perdono di potere man mano che la canzone scorre ed i classici up tempo entrano prepotentemente a riportare ordine. Questa volta i riffs mostrano anche alcune partiture in “tremolo picking” a dare un’ulteriore base violenta. Molto più varia ed incalzante la struttura di Atrocity, con un ottimo lavoro di doppia cassa e le solite linee soliste a gettare una leggerissima melodia. Hiroshima mostra un incredibile intreccio chitarristico durante gli stop and go che precedono ed introducono le sezioni in up tempo. La canzone di per sé è un furioso assalto sonoro senza mezze misure che, con questa produzione potente e cristallina, assume proporzioni devastanti. Le influenze Slayeriane rivivono in tutta la loro brutalità in The Devil’s Martyr per un disco che non accenna a calare di velocità e intensità. Assoli lancinanti, sferzate al limite del thrash/death e voce schizoide per proseguire con le cavalcate di Ultimate Power Corrupt.
A terminare il disco troviamo i rocciosi, oscuri rallentamenti di Desolation Alive. I cambi di tempo si susseguono con perizia ed il lavoro delle sei corde è eccelso come sempre nel saper donare varietà. Ovviamente la voglia distruttiva così radicata nel gruppo deve in qualche modo esplodere in tempi veloci e così è, per la mia immensa gioia. Ad ogni modo alcune ricadute nel sinfonico, con arpeggi e le linee soliste, donano un senso di completezza per finire alla grande un disco potente, ben studiato e ottimamente suonato. Un altro piccolo pezzo di storia del thrash è nuovamente tra di noi. Diamogli il giusto riconoscimento.