Voto: 
8.7 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
RCA Records
Anno: 
1972
Line-Up: 

- Lou Reed - voce, chitarra, tutte le musiche
- David Bowie - produzione, cori
- Mick Ronson - chitarre, pianoforte, produzione, cori
- Herbie Flowers - contrabbasso, basso, tuba
- Ronnie Ross - sax baritono
- John Hazley - batteria

Tracklist: 

1. Vicious
2. Andy's Chest
3. Perfect Day
4. Hangin' Round
5. Walk on the Wild Side
6. Make Up
7. Satellite of Love
8. Wagon Wheel
9. New York Telephone Conversation
10. I'm So Free
11. Goodnight Ladies

Lou Reed

Transformer

Nel 1972 Lou Reed viveva uno dei suoi periodi più complessi e turbolenti. A 30 anni aveva praticamente già scavalcato tutti i limiti del rock, vivendo con i Velvet Underground inferno, purgatorio e paradiso della popular music: davanti aveva una carriera musicale solista dannatamente instabile, senza prospettive, senza la minima sicurezza di un futuro. Nel 1972 Lou Reed non era più il giovane scapestrato sputa-singoli sotto contratto con la Pickwick e non era nemmeno il folle e sotterraneo cantastorie immortalato nell'eterna banana warholiana. Ricordi di una vita vissuta in fretta e adesso barcollante. Nel 1972 Lou Reed era solo, completamente solo. Anche il mercato musicale gli aveva bruscamente voltato le spalle, giudicando con un pesante pollice verso la sua prima, omonima fatica solista.
I Velvet Underground avevano ormai esaurito la propria dirompente carica avanguardista ed erano diventati un gruppo pop-rock come tanti: Loaded (uscito nel 1970, un mese dopo la dipartita di Lou) fu la goccia che fece traboccare il vaso reediano, fu ciò che lo spinse verso una nuova esistenza, lontano dai fari che ne avevano splendidamente illuminato l'indimenticabile ascesa. Quell'anno Lou Reed rischiò di diventare un fantasma, una vecchia icona dimenticata, un mito caduto in rovina. Fu così finchè non gli si avvicinò un giovincello che nel frattempo stava segnando il rock nella maniera più profonda: David Bowie, dopo averlo praticamente osannato e "imitato" per anni, incontrò Lou Reed nel 1972 e - sapendo anche di avere di fronte un'icona del rock in un momento estremamente complesso - lo spinse ad accettare una collaborazione per il suo nuovo album. Un aiuto sincero da parte di un suo grande (il più grande) ammiratore. Così Bowie porta Reed a Londra, svelandogli  quell'enorme mondo glam allora in grande fermento in Gran Bretagna. Lo shock (che poi non fu altro che un'infatuazione) dell'ex-Velvet fu forte, tanto da farlo immedesimare da subito in quella nuova dimensione artistica e, soprattutto, estetica.

"Vicious, you hit me with a flower
You do it every hour
Oh baby, you're so vicious
"

Transformer prende vita in questo contesto, da un Lou Reed ritrovato e 'purificato' dall'ambiente inglese e da un'accoppiata di lusso a cui in secondo luogo si deve il successo dell'album, ovvero quella composta da Bowie e dal produttore/multistrumentista Mick Ronson. Transformer, ovvero l'arte del trasformismo e del cambiamento che ha fatto rinascere Lou Reed, sradicandolo dalle noie di quel maledetto biennio 1971-72 e immergendolo in una nuova vita artistica. Eppure in Transformer i disagi, i capolavori, la dimensione estatica, gli scandali e la perversione del velvet-world non sono ancora scomparsi e rivivono sotto una luce nuova, un bagliore che in fondo è un ghigno tramite cui Reed riscava nel proprio passato e ne reinterpreta i personaggi e le situazioni. Così che dietro la splendida Vicious non si nasconde altri che Andy Warhol e, nello stesso gioco di richiami a quel mondo indelebile, la frivola New York Telephone Conversation richiama i pettegolezzi della Factory, Andy's Chest non fa altro che narrare la morte sfiorata dallo stesso Warhol per mano di Valerie Solanas e i versi della piacevole Make Up (leggerissima nel suo tenue contatto tra chitarra e tuba) non riprendono altro che gli slogan dell'allora attivissimo Gay Liberation Front al quale Reed era molto vicino. Ma, al di là di qualsiasi legame col passato, Transformer è un capolavoro dannatamente fresco e che ci pone davanti un'artista rinato, mutato nei sentimenti e nel modo di comporre musica, nella maniera di sentirla ed esprimerla. La durezza e le perversioni velvetiane di Reed si fondono così con l'anima 'angelica' di Bowie e con quella di Ronson, vero e proprio collante tra i due: un'alchimia di stili e idee che darà vita ad uno dei sound più riconoscibili nella storia del rock.

"Satellite's gone
up to the skies
Thing like that drive me
out of my mind"


Questo perchè tra gli ultimi, aspri respiri chitarristici di Lou Reed si inserisce splendidamente la mano magica di Bowie che pulisce e smussa  le più ruvide idee dell'amico statunitense in un sound molto più orecchiabile e, per l'appunto, glam. Privo anche dell'enorme peso concettuale dei Velvet Underground, Reed si dimostra come non mai libero e veramente felice di tornare a comporre musica dopo il flop del precedente album. Ciò non vuol dire che Transformer sia un album ottimista o buonista, anzi, in esso continuano a rivivere flashback di esperienze passate, soprattutto in relazione alla Factory warholiana, vero e proprio fulcro tematico dell'indimenticabile capolavoro Walk on the Wild Side. In quello che è rimasto uno dei suoi più lucenti gioielli di sempre, Reed (prendendo spunto dall'omonimo libro di Nelson Algren, di cui Warhol voleva progettare una trasposizione teatrale con musiche appunto di Lou) rievoca interamente i sogni distorti, le emozioni deturpate e tutto il "lato selvaggio" di quella gentaccia che lo ha accompagnato nel suo incredibile viaggio artistico-spirituale-esistenziale d'inizio carriera. Soffice nell'andamento, nel delicato scorrere del basso di Herbie Flowers, nel coro, nei tenui accordi e nella quasi nostalgica voce narrante di Reed (che in effetti non fa altro che narrare le storie dei personaggi della Factory), Walk on the Wild Side è uno dei due grandi cavalli di battaglia di Transformer, brano-emblema del Lou Reed solista e capolavoro senza tempo. L'altro cavallo di razza, anch'esso senza tempo, indimenticabile, destinato all'eternità del Rock è, ovviamente, quella lenta e struggente ballata che porta il nome di Perfect Day, ovvero la testimonianza più profonda e malinconica di un'artista finalmente in grado di aprirsi in tutta la sua pienezza espressiva. Di fronte quest'intensità (prima vitalistica, poi drammatica) degli appena citati capolavori, il resto di Transformer sembra quasi sprofondare di vergogna, limitandosi a fare da elegante, divertente e scanzonato contorno per quelle irraggiunte vette emotive. Anche se, ovviamente, non si può parlare di brani come la pseudo-sentimentale Satellite of Love e la grottesca Goodnight Ladies in termini di misere simulazioni, tanto meno non si possono vedere le più strampalate e rockeggianti Hangin' Round, I'm So Free e Wagon Wheel come dei semplici riempitivi, visto che in ogni riff, in ogni profonda schitarrata e in ogni parola dei suoi testi come sempre accesi e vibranti, Lou Reed immette tutto il suo nuovo se stesso, delineando senza paura una silhouette artistica, estetica ed esistenziale fino ad allora sconosciuta.

Così in Transformer il geniale cantautore statunitense si leva di dosso i panni del derelitto rock per eccellenza, del satanello drogato, perverso e delirante, per lasciare spazio ad una nuova immagine destinata a farlo risalire dal semi-baratro in cui stava sprofondando. Grazie anche al vero e proprio 'favore', all'enorme ausilio che gli hanno concesso i suoi adepti-colleghi Bowie e Ronson, Lou Reed ha aperto una nuova pagina della sua vita e ha, ovviamente, marchiato ancora una volta a fuoco il Rock con la sua interminabile fantasia metropolitana. Aspetti che l'anno seguente Berlin tirerà fuori con un fascino ancor più estasiante, divenendo di fatto il più grande album mai composto da Reed. In ogni caso di Transformer e della sua leggendaria copertina (la "Creatura di Frankenstein del Rock"), non ci si dimentica mai. Sarebbe fuori dalla portata di qualsiasi vero appassionato di musica.

"Oh, it's such a perfect day
I'm glad I spend it with you
Oh, such a perfect day
You just keep me hanging on
You just keep me hanging on"

 

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