- Anthony Kiedis - Voce
- Michael "Flea" Balzary - Basso
- Hillel Slovak - Chitarra
- Jack Irons – Batteria
1. Fight Like a Brave (3:53)
2. Funky Crime (3:00)
3. Me & My Friends (3:09)
4. Backwoods (3:08)
5. Skinny Sweaty Man (1:16)
6. Behind the Sun (4:40)
7. Subterranean Homesick Blues (2:34)
8. Party On Your Pussy / Special Secret Song Inside (3:16)
9. No Chump Love Sucker (2:42)
10. Walkin' on Down the Road (3:49)
11. Love Trilogy (2:42)
12. Organic Anti-Beat Box Band (4:10)
The Uplift Mofo Party Plan
“...Time has come, now we jam
with the uplift mofo party plan
We don't ask we demand
that you and your clan
listen now to this jam...”
E’ giunto il momento che il mondo stia ad ascoltare, il momento in cui i Red Hot iniziano la jam, iniziano a fare sul serio, è il momento per il ‘progetto di un party da sballo’ (la traduzione letterale è un po’ più esplicita).
Siamo nel 1987, e sono passati più di due anni dal precedente capitolo del gruppo, il funk-oriented “Freaky Stiley”, che pur con scarso successo di vendite mostrava che i Peperoncini le qualità le avevano e le sapevano anche combinare sapientemente, dopo un disco di debutto che lasciava qualche dubbio di troppo sulle loro capacità artistiche. Ma ora è diverso: “Time has come...”.
Per la prima volta (e, tragicamente, anche l’unica) in un disco dei Red Hot Chili Peppers troviamo la line-up degli inizi al gran completo, con i quattro ragazzacci della Fairfax High School finalmente tutti assieme: ”The Uplift Mofo Party Plan” testimonia infatti il ritorno di Jack Irons (in futuro anche nei Pearl Jam) alla batteria in sostituzione di Cliff Martinez, visto che il progetto What Is This? in cui lui e Slovak erano coinvolti, s’era nel frattempo arenato.
Veniamo alla produzione: se con Gill non c’era stato feeling, e con Clinton ce n’era stato fin troppo, con il nuovo produttore Michael Beinhorn (che in futuro collaborerà con acts quali Marilyn Manson, Korn, Ozzy Osbourne e Soundgarden) i quattro si mettono a lavorare seriamente e in modo produttivo, tanto che Beinhorn verrà riconfermato anche per il disco successivo. Questi due fattori combinati, l’arrivo di Beinhorn e il raduno dell’allegra brigata pre-disco di debutto (Slovak, Irons, Kiedis, Balzary), riescono a tirare fuori dai Peppers una certa compattezza a livello di suono, nonché un songwriting finalmente unito e meglio ponderato: detto in parole povere, ci troviamo di fronte al miglior disco dei ‘primi’ Red Hot Chili Peppers. D’accordo, per l’arrivo sulle grandi scene e un ulteriore miglioramento bisognerà comunque aspettare il 1989 e “Mother’s Milk”, ma “The Uplift Mofo Party Plan” vende da solo più dei due precedenti messi assieme, e la qualità musicale del prodotto è indiscutibile, così come la genialità del loro inedito mischiare Rap, Punk, Funk ed Hard Rock in un micidiale preludio a quel Crossover che diverrà ‘parola chiave’ nel decennio successivo, grazie al successo che gli stessi RHCP otterranno di lì a poco e la contemporanea esplosione di acts quali, ad esempio, i Faith No More.
La ritrovata compattezza e la splendida lucidità sono esibite in particolar modo nei tre singoli tratti dall’album, fra i migliori pezzi scritti dal gruppo, basti pensare all’opener, l’anthem “Fight Like a Brave”, molto cadenzata e caratterizzata da possenti cori durante i ritornelli (“Fight like a brave - Don't be a slave - No one can tell you - You've got to be afraid”). La carta del coro e del ritornello impetuoso e immediato viene giocata anche nel secondo singolo “Me & My Friends”, nella cui apertura il prolungato arpeggio del basso di Flea prelude a delle strofe intricate in cui i duri colpi di Irons tentano di limitare lo strabordante Slovak e la sua chitarra impazzita, a metà tra Hendrix, Hard’n’Heavy e Funk, poco dopo protagonista di un assolo infiammato. L’altro singolo è “Behind the Sun”, primo brano dallo stile ‘commerciale’ (alla cui scrittura ha collaborato il produttore del disco, Beinhorn), un pezzo Pop-Rock orecchiabile e ben composto, con una partecipazione di Slovak al sitar, un Flea in bell’evidenza e Anthony che adotta uno stile melodioso e rilassato, vicino a quanto faranno sentire i Red Hot di fine millennio, e completamente diverso dalla furia fantasiosa e sorprendente che aveva impressionato poco prima nella traccia in quinta posizione, la pazza “Skinny Sweaty Man” - breve quanto divertente, con interpretazioni vocali quasi ridicole ed esplosioni strumentali assolutamente trascinanti.
A completare questa prima metà del disco troviamo la seconda “Funky Crime”, in cui l’amore per il funk viene ribadito ed espanso dalle contaminazioni, con Anthony a recitare “I've committed a funky crime - against a state of mind- … -don't judge me and my soul stew - cause funk is my attitude”; e la quarta, aggressiva, “Backwoods”, uno dei migliori episodi di sempre del gruppo, aperta da una chitarra molto Hard, stemperata però subito dal basso acido di Flea che focalizza su di sé l’interesse dell’ascoltatore prima che il chorus irrompa con tutta la sua potenza - una parte Rappata segue un breve assolo multiforme e variopinto, ed il gioco è fatto.
La seconda parte di “The Uplift Mofo Party Plan” è aperta da una strampalata e personalissima versione dello stra-classico “Subterranean Homesick Blues”, capolavoro FolkRock con cui Dylan aprì il suo favoloso “Bringin’ It All Back Home” del 1964. La riproposizione dei losangelini non convince particolarmente, e lodare l’originalità dell’iniziativa è sicuramente la migliore cosa che si possa dire sulla cover. L’ottava “Party On your Pussy” fu un vero pomo della discordia tra la band e la EMI: trovando il titolo troppo esplicito, la label lo modificò in “Special Secret Song Inside”, suscitando le proteste dei Red Hot. Funky e orchestrale, il brano non è certo uno dei punti più alti del lavoro ma non è neppure particolarmente deficitario, ed è anzi caratterizzata da uno Slovak in buona forma (una delle sue migliori prove, specialmente durante il ritornello) e da alcuni languidi cori femminili durante il refrain.
Ben altro tiro e compattezza con la spettacolare seguente “No Chump Love Sucker”, quasi Hardcore per potenza, velocità e intensità del cantato: ma il pezzo è infarcito di momenti vari e interessanti, ed è uno dei più groovy mai scritti dalla band.
Due episodi interessanti ma non fondamentali quali “Walkin’ On Down the Road” (con uno Slovak dannatamente ispirato in un assolo che attraversa più stili) e “Love Trilogy” (buona l’idea del crescendo, a partire da un inizio atmosferico e dilatato per giungere ad un finale concitato con sprazzi quasi Metal; e tengo a citare un Flea sontuoso nelle fasi centrali) ci portano alla festa finale di “Organic Anti-Beat Box Band”, da cui è tratta la citazione di inizio recensione e che condensa al meglio lo spirito pazzo e divertente di questo disco, con la voce personalissima di Anthony a improvvisare un Rap sopra la compatta sezione ritmica, formata dal basso indiavolato di Flea e dalle percussioni potenti e precise di Irons; e per completare il sound della band (‘organico’ come mai prima d’ora), è assolutamente fondamentale uno Slovak dal suono sporco, FunkRock, imprevedibile tra feedbacks e distorsioni.
I problemi con la droga di lì a poco quasi distruggeranno la band, porteranno alla morte di Hillel e all’abbandono di Irons, e i Red Hot, devastati, dovranno ricominciare da capo, trovando però nuova linfa e maggiore maturità; “The Uplift Mofo Party Plan” rimane invece il manifesto del loro periodo più folle e Funk, più variegato e scanzonato: la musica divertente, frizzante e innovativa della loro prima fase trova qui il proprio apice, grazie ad una convinzione, un’ispirazione ed uno spirito di squadra che la droga era riuscita ad intaccare solo parzialmente: il terzo capitolo targato Red Hot chili Peppers è immancabile nelle vostre discografie, così come i due successivi.