- Thom Yorke - voce, chitarra
- Jonny Greenwood - chitarra
- Ed O' Brien - chitarra, voce
- Colin Greenwood - basso
- Phil Selway - batteria
1. Stop Whispering (US version)
2. Thinking About You
3. Faithless, the Wonder Boy
4. Banana Co.
5. Killer Cars (live)
6. Vegetable (live)
7. You (live)
8. Creep (acoustic live)
Itch
Probabilmente i Talking Heads all’inizio non rimasero lusingati dal fatto che un semplice complesso pop di Oxford, gli On A Friday, decise di cambiare nome in Radiohead in onore di una loro canzone. Curioso, visto che dieci anni dopo l’esordio del gruppo capitanato da Thom Yorke è altresì probabile che, dopo aver visto l’evoluzione di quel piccolo, timido gruppetto senza troppe pretese, possano aver cambiato idea… ma in fondo, chi li avrebbe potuto biasimare quando a inizio anni ’90 i cinque di Oxford se ne uscirono fuori con alcune prime pubblicazioni ben lontane, stilisticamente e qualitativamente, dalle sperimentazioni in cui si sarebbero imbarcati a fine decennio? Pablo Honey era un pop rock schitarrato e divertente, ma non certo un discone per cui rimanere negli annali della storia. E che dire del successivo Itch, nipponico EP dei radiotesta? Sicuramente farà di molto sorridere coloro che li conoscono per opere tanto diverse come Kid A e Amnesiac. Si tratta di un lavoro inseribile nei loro primi passi nell’ambiente britpop, un dischetto che, se non si hanno troppe pretese, si lascia ascoltare volentieri; ma non aspettatevi nulla di massiccio o almeno originale nel songwriting. È ancora presto perché i Radiohead facciano fruttare il loro potenziale, e in Itch, uscito solo per il mercato giapponese, c’è tutta la loro incertezza e inesperienza.
Si parte dunque con la versione americana di Stop Whispering, una ballata pop maggiormente solare e spensierata dell’originale, di cui mantiene la stessa vena melodica e una certa dolcezza. Orecchiabile seppur niente di fenomenale, probabilmente non avrebbe comunque sfigurato su PH. Thinking About You invece ci viene presentata in una versione molto più spedita e pseudopunkeggiante dell’originale, tant’è che la maggiore velocità d’esecuzione la “comprime” fino a due minuti. Questa nuova veste è senza dubbio interessante, anche se a conti fatti non è nulla di originale e non convince appieno dato il suo strizzare fortemente l’occhiolino a certe sonorità che andavano alla grande oltre oceano. PH, pur con le sue influenze, sembrava avere un piglio maggiormente personale. Faithless, the Wonder Boy è un pezzo pop placido e acustico, se non per la chitarra distorta nel chorus, che segue la direttrice generale delle canzoni di PH. Senza lode e senza infamia, poiché si lascia ascoltare ma non aggiunge nulla all’EP per cui valga la pena di parlare di buona pubblicazione. Chiude il disco (eccetto per alcune tracce live) il singolo Banana co., una ballata di chitarra classica abbastanza banale anche se piacevole, ancora una volta forse non avrebbe sfigurato su PH come breve intermezzo fra una canzone più rockeggiante e l’altra, ma non è certo qualcosa di memorabile. Carina, ma non basta, gli inglesi hanno un potenziale decisamente maggiore e lo dimostrarono nello stesso anno di pubblicazione di Itch, con l'EP My Iron Lung, uno dei loro lavori più apprezzati di sempre.
Oltre a Itch, comunque, i Radiohead nei loro primi anni rilasciarono vari singoli, fra cui il più famoso è Pop Is Dead, un pop-rock mediocre e facilone che il gruppo avrebbe in seguito ripudiato, un po’ come per Creep anche se la sostanza (ma anche la classe e lo spessore) è diversa.
Insomma, i Radiohead degli esordi avevano ancora tanta strada da fare, questo EP è in definitiva una release trascurabile, se non per ascoltare qualcosa di orecchiabile senza pretese una volta tanto: ma c’è chi seppe fare di meglio con gli stessi ingredienti, in primis gli stessi Radiohead di lì a breve, ponendosi fra gli alfieri del moderno pop rock inglese.