- Kevin DuBrow - voce
- Frankie Banali - batteria
- Tony Franklin - basso
- Neil Citron – chitarra
Guest:
Glenn Hughes – voce e basso in Evil Woman
1. Free
2. Blind Faith
3. South Of Heaven
4. Black Reign
5. Old Habits Die Hard
6. Strange Daze
7. In Harmy Way
8. Beggars And Thieves
9. Don't Think
10. It Sucks To Be You
11. Evil Woman
12. Wired To The Moon
Rehab
Tornano a distanza di cinque anni dal poco convincente Guilty Pleasures i Quiet Riot, capitanati sempre dal frontman Kevin DuBrow e dal batterista Frankie Banali, storici componenti del combo californiano, ai quali si sono affiancati, dopo la recente reunion degli ultimi anni Tony Franklin al basso e Neil Citron alla chitarra. Quest’ultimo lavoro rappresenta un po’ una sorpresa vista la nuova strada intrapresa dai nostri, infatti sembra che abbiano abbandonato del tutto le sonorità Glam che li avevano condotti al successo agli albori degli anni ‘80 con album come Metal Healt o Condition Critical, contenenti non a caso le cover, rispettivamente, di Cum On Feel The Noize e Mama Weer All Crazee Now, due tra i brani più popolari degli Slade, una delle band capostipite del Glam.
L’undicesimo studio album del gruppo di Los Angeles propone un sound più moderno e paradossalmente con una forte influenza zeppeliniana, ben evidente nel riffing bluesy e psichedelico che contraddistingue molte delle traccie presenti, il riff che apre Black Reign ad esempio è il naturale discendente di Dancing Days, ed anche se poi il brano prende tutt’altra direzione, non riesce più a distaccarsi dallo stile del “dirigibile di piombo”, eccetto nell’arioso refrain che riporta per pochi istanti al tipico sound targato Quiet Riot, ma anche in Strange Daze si respira fortemente la medesima sensazione, che peraltro seppur in misura minore la si può ritrovare su molte delle songs presenti.
Accanto a questa forte componente settantiana però, si può notare anche la massiccia presenza di soluzioni ben più attuali, già dal riff della cupa opener Free, a dire il vero un po’ panteriano e risaputo, ma in ogni caso è un buon pezzo, con una sezione ritmica potente e pulsante ed un chorus esplosivo e catchy, parte lenta invece su una buona base melodica Blind Faith e così si mantiene fino all’aggressivo refrain, un mid-tempo davvero pregevole insomma, invece un’intro arpeggiata ci conduce alla bellissima ed energica South Of Heaven, anch’essa dai forti echi zeppeliniani nelle parti di chitarra, ma con soluzioni melodiche più ariose e corali. Uno dei pezzi maggiori del lotto è sicuramente Old Habits Die Hard, grazie al suo frizzante e gioioso Hard Rock contaminato di sonorità Blues e Gospel con tanto di coretti annessi, davvero una chicca che entra di diritto tra i brani maggiori del gruppo americano, anche In Army Way non deluderà chi aspettava il ritorno dei nostri sulla scena Rock, infatti il brano sprigiona un’energia ed una carica non indifferente e può vantare un bel refrain grintoso, reso magistralmente dalla voce alcolica e ruvida di DuBrow, esattamente come la più cupa e dalle tinte blues Don’t Think, dove fortemente incidono Banali e Franklin. Beggars And Thieves è un altro mid-tempo tinto di blues ed in possesso di un azzeccato ritornello che mette in mostra un DuBrow in gran spolvero, si respira aria di Hard n’Roll con la dinamica e divertente It Sucks To Be You, che precede la lunghissima Evil Woman, cover degli Spooky Tooth che vede la presenza del grande Glenn Hughes ad affiancare il singer di casa, mentre Wired To The Moon si accinge a chiudere in maniera più che dignitosa l’ultima release di questa storica metal band.
Rehab va ad aggiungersi così alla già ricca ed ottima discografia dei Quiet Riot, e quest’ultimo tassello è rappresentato da un album davvero carino e ben fatto da gente che fa musica da trent’anni, e si sente. Unica pecca è una quasi sempre presente sensazione di risentito, spesso però messa in secondo piano di fronte al buon gusto delle composizioni e all’elevata dose di energia che le stesse riescono a trasmettere.