- Fabio Minchillo - voce
- Stefano "Napo" D'Orazi - chitarra
- Fabio "The Eldar" Schirato - chitarra
- Alessandro Vincis - basso
- Massimiliano De Stefano - tastiera
- Claudio "Dr.K" Cappabianca - batteria
1. Alone in the Dark
2. Y.T.T.
3. Invisible Prison
4. A Last Gaze
5. Fused
6. Acid One
7. Imagination Game
8. Devil's Bridge: Prelude
9. Devil's Bridge: Pt. 1
10. Devil's Bridge: Pt. 2
Devil’s Bridge
Formatisi nel 1996 come cover band degli Iron Maiden, i nostrani The Prowlers giungono alla seconda pubblicazione, dopo dieci anni di attività, con questo Devil’s Bridge, pubblicato dalla spagnola Locomotive Records. La band esibisce un Power Metal molto tirato e potente, di stampo europeo, con reminiscenze dallo stile dei brasiliani Angra: nelle dieci tracce che formano Devil’s Bridge vengono messe in evidenza le buone doti tecniche del sestetto romano, impegnato a mantenere viva l’attenzione degli ascoltatori con ritmi aggressivi e dal feeling Speed, intervallati da inserti di tastiera abbastanza efficaci ma non sicuramente originali.
Difatti già dalla rocciosa opener Alone in the Dark si notano molte carenze dal punto di vista della personalità: riff impetuosi si rincorrono in una cavalcata verso un finale alquanto deludente, che rende vani gli sforzi profusi a tessere discrete architetture musicali durante l’intera canzone.
Come ricordato in precedenza, i The Prowlers non fanno mancare al proprio sound gli elementi Speed/Progressive tipici dei primi Angra di Matos: così nascono brani come Y.T.T. o The Invisibile Prison, sorretti dall’ottima interpretazione del vocalist Fabio Minchillo, ma leggermente privi di spunti innovativi che possano aggiungere qualche aspetto che renda insolita e diversa la proposta della formazione.
Le tracce faticano ad entrare subito nel vivo della composizione, nonostante la loro struttura risulti ben concepita; a tratti i riff, soprattutto di chitarra, appaiono addirittura monotoni e se non fossero affiancati dai temi melodici o dagli assoli, renderebbero il complesso ancora più pesante di ciò che traspare.
Last Gaze è l’immancabile pezzo giocato tra sinfonia e ritmiche mozzafiato di ogni album Power, ma almeno costituisce un esempio concreto delle potenzialità in possesso del sestetto capitolino, molto debitore dei timbri degli svedesi Nocturnal Rites di Shadowland in questo episodio.
La tenebrosa Fused o la poco appetibile Acid One non valorizzano sicuramente i decenti spunti compositivi che si percepiscono durante il loro andamento e si aggiungono alla serie delle soluzioni troppo canoniche adottate nel full-lenght.
Più valida è senza dubbio la conclusione del platter, affidata alla suite Devil’s Bridge, divisa in tre parti, che mostrano una ricerca più attenta da parte del gruppo di avvicinarsi a timbri meno scontati e più evoluti: questi tenui bagliori salvano un album che contiene troppe pecche e distrazioni, legate soprattutto al modo di affrontare il lavoro di stesura dei brani.
La preparazione tecnica di ciascun singolo musicista si dimostra elevata e nettamente al di sopra di quella delle comuni bands Power che popolano il panorama italiano, ma ciò che dev’essere perfezionato è il livello del song-writing.
Non è necessario che ogni capitolo debba emergere per la sua furia Power/Speed o per la velocità/precisione degli assoli Progressive di chitarra e tastiera: ciò che realmente serve ai The Prowlers è trovare il giusto equilibrio che premi la loro personalità e li sappia distinguere all’interno di una scena sempre più gremita di realtà, ma sempre più scarna dal punto di vista della varietà stilistica.