Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Leonardo Cammi
Genere: 
Etichetta: 
Escape/Frontiers
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Glenn Hughes, Tony Martin, Keith Murrell, Lee Small, Matt Morton, Joy Strachan - voce
- Orlin Radinsky - batteria
- Mel Galley, Andy Shortland, J.J. Marsh - chitarra
- Richard Lymn - basso
- Ian Rowlands, Tom Brown - tastiera
- Rumen Boyadgiev - archi e arrangiamenti


Tracklist: 

1. Sunrise
2. Touch My Life
3. Killing For The Thrill
4. So Near So Far
5. Chemical High
6. Higher
7. 60 Seconds
8. Crazy Grooves
9. How Do You Feel?
10. All That I Need
11. God Forgives

Phenomena

Psychofantasy

Psychofantasy è il quarto capitolo della storia del progetto Phenomena, che esce sotto l’egida dei fratelli Galley. Per dovere di cronaca ricordiamo che il primo album coniato da Tom e Mel Galley (che ricordiamo anche come chitarrista dei grandi Whitesnake) è datato 1985 e già allora la caratteristica fondante era stata di unire tanti grandi nomi della scena hard rock per comporre e presentare un disco evento (ricordiamo nel primo disco personaggi come Don Airey, Cozy Powell o l’onnipresente Glenn Hughes). Successivamente esce nel 1987 il secondo album della serie che bissa il grande successo del primo e vede aggiungersi nuovi ospiti di gran valore come il compianto Ray Gillen o john Wetton. Il 1991 è l’anno in cui abbiamo il terzo lavoro legato al progetto Phenomena e in quel periodo non certo propizio il platter si rivela purtroppo un clamoroso flop.
Riprese in mano le redini della situazione però oggi Mel Galley, forte di un ritorno di fiamma fra le nuove e vecchie generazioni per l’Hard Rock di classe, riprende il discorso interrotto e sforna un disco come Psychofantasy, che dimostra quanto questo genere musicale abbia ancora molto da dire.
Fra i vari interpreti di questo capitolo ritagliamo subito una menzione per il grandissimo Glenn Hughes, immediatamente riconoscibile nei pezzi in cui presta la sua ugola, come l’Hard Rock sanguigno della potente Higher o della maestosa Touch My Life, vero gioiello di genere; è indubbio che il tempo fa proprio bene all’ugola del singer.

Il disco risulta interessante anche negli episodi più radiofonici e orecchiabili, come la discreta 60 Seconds, cantata dall’unica singer al femminile del lotto, la brava Joy Strachan.
Le partiture di Mel Galley ripercorrono lo stile di band come Whitesnake (periodo mediano), e House Of Lords e sanno esaltare a dovere le doti dei singoli cantanti.
Grande prestazione anche per Tony Martin (Black Sabbath, The Cage) che colpisce soprattutto nell’energica e bellissima Chemical High.
Alcuni episodi sottotono, come la conclusiva e troppo modernista God Forgives o la statica Crazy Grooves, oppure ancora la prestazione di singer come Lee Small convincono un po’ meno e fanno scendere un poco il giudizio complessivo per l’opera che è comunque largamente positivo.

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