- Eddie Vedder - voce, chitarra
- Stone Gossard - chitarra
- Jeff Ament - basso
- Mike McCready - chitarra
- Jack Irons - batteria
1. Brain Of J.
2. Faithfull
3. No Way
4. Given To Fly
5. Wishlist
6. Pilate
7. Do The Evolution
8. Untitled (The Color Red)
9. MFC
10. Low Light
11. In Hiding
12. Push Me, Pull Me
13. All Those Yesterdays
Yield
Gli anni del Grunge sono armai un “vecchio ricordo”. Il tempo di Ten è passato, Vs. è soltanto un altro album sugli scaffali degli appassionati. La rabbia di Vitalogy è svanita, la collaborazione con Neil Young che ha portato anche alla creazione di No Code restano esperienze indelebili nella memoria del gruppo. Ora è il presente e i Pearl Jam non si lasciano di certo scoraggiare, anzi, il silenzio che si erano creati intorno a loro ai tempi di No Code li aiuta a realizzare in tutta tranquillità una ventina di canzoni, parte delle quali finiranno su questo gradevolissimo album che all’anagrafe è stato iscritto come Yield.
Il disco si apre con un rock energico che fa ben sperare ai fan di tutto il mondo. Brain Of J col suo ritmo serrato e la carica che trasmette è perfetto come apripista dell’album. La seconda traccia, Faithfull, rallenta immediatamente il ritmo per poi scoppiare nuovamente nel ritornello e negli assoli. No Way è un mid-tempo davvero strano, con soluzioni che spaziano dal Rock classico, all’Indie, alla Psichedelia...una bella canzone! La quarta traccia è un vero e proprio balzo negli anni settanta, forse perché l’arpeggio di Given To Fly ricorda un poco quello di Going To California dei Led Zeppelin, fatto sta che questo è un grandissimo pezzo dove, e spesso viene dimenticato, Jack Irons tesse un tappeto ritmico davvero vario e originale.
Dapprima, per la sua “sdolcinatezza”, ha fatto storcere il naso ai fan più di vecchia data, poi è diventata una delle canzoni preferite dai fan di ogni dove, Wishlist è questo: un piccolo grande gioiello. La prima delle due tracce proposte per quest’album da Jeff Ament è Pilate, un pezzo tutto sommato non malvagio, ma il ritornello rovina tutto. Il singolo apri pista dell’album è stato Do The Evolution che, volendo fare un parallelismo col passato, è la risposta targata 1998 di Spin The Black Circle. Le differenze: in Do the Evolution la rabbia è controllata e in più condita da una dose abbondante di ironia. Belli gli stacchetti e il video ad opera di Tod McFarlane!
Untitled (The Color Red) è una traccia strana. Quello che si può dire è che è un pezzo contro la guerra. E’ cantato in prima persona, nel senso che la guerra dice di essere pazza. Musicalmente si potrebbe definire tribal-hawahiana. MFC è un pezzo tutto italiano, nel senso che è stato scritto in Italia da Vedder con i suoi amici Italiani ed il titolo per esteso è Mini Fast Car, in più è una canzone bella immancabile nei loro concerti. La seconda canzone del bassista Ament su questo lavoro è la sognante Low Light, le parole per descriverla sarebbero superflue, peccato che venga sottovalutata.
Il pezzo meglio riuscito dell’album è In Hiding, guarda caso con musica di Gossard e testo di Vedder, il che sta a significare che la coppia, insieme, lavora meglio che i singoli e che i Pearl Jam dovrebbero tornare un gruppo unito e non i compagni di viaggio di Vedder. Nostalgie a parte questa canzone si basa su un maestoso riff mid-tempo sul quale la voce di Vedder dapprima calma prende il volo. Ad arricchire il contenuto variegato di questo album ci pensa l’eccentrica Push Me Pull Me che, in poco più di due minuti lascia spazio a quella All Those Yesterdays che sta a Yield come Around The Band stava a No Code, senza però cadere in deja-vu sonori.
In più se si pazienta due minuti si ha la possibilità di ascoltare una traccia nascosta molto orientaleggiante che nulla toglie ne aggiunge ai brani segnalati nell’album, solo una chicca per i più golosi.
Di certo i Pearl Jam non sono gli stessi degli esordi, sono maturati sia come persone che come musicisti, la loro musica può affascinare chi più chi meno, ma le tracce da loro proposte in questa raccolta sono da far ascoltare ai più giovani, a coloro che vogliono imparare cosa vuol dire suonare bella musica. Un 85 per l’onestà mostrata anno dopo anno da Vedder e soci, e per avere il coraggio di non riproporre mai la stessa formula. That’s Rock!