- Jeff Ament - Basso
- Stone Gossard - Chitarra
- Mike McCready - Chitarra
- Eddie Vedder - Chitarra, Voce
- Matt Cameron - Batteria
1. Life Wasted
2. World Wide Suicide
3. Comatose
4. Severed Hand
5. Marker In The Sand
6. Parachutes
7. Unemployable
8. Big Wave
9. Gone
10. Wasted Reprise
11. Army Reserve
12. Come Back
13. Inside Job
Pearl Jam
L’ultima puntata della serie Pearl Jam risale al 2002: avevamo lasciato i Nostri ad un rock, sì di classe, ma con tinte oscure, difficile da seguire, e con una rassegnazione sociale sconcertante. Nel 2006 li rivediamo invecchiati ma arrabbiati e con un briciolo di speranza in più rispetto al recente passato. Vedder è diventato padre e, conoscendo la sua indole ribelle ma cosciente della nazione in cui vive, non vuole lasciare a sua figlia un mondo di guerre e sofferenze, allora alza la voce e sforna testi di protesta che viaggiano a mille sul rock del loro ultimo e omonimo album. Pearl Jam.
Il disco si apre con un rock energico davvero inaspettato, Life Wasted, dove troviamo i Nostri al top, con assoli mozzafiato di McCready, una sezione ritmica tirata con stacchi melodici. Il testo della canzone riguarda un po’ tutti, ricordando che non bisogna sprecare la vita riempendola di negatività. Forse è anche un rimpianto autobiografico di Vedder. La seconda traccia è il singolo World Wide Suicide, altra canzone tiratissima, una protesta aperta nei confronti di tutti i “potenti” del mondo “It’s a shame to awake in a world of pain” (“è una vergogna svegliarsi in un mondo di dolore”), questa frase rappresenta il significato di tutta la canzone, e fa riflettere. Comatose, il terzo pezzo del disco, è stata la prima canzone ad essere suonata in pubblico, già presentata l’anno scorso in un paio di occasioni col titolo Crapshoot; è un pezzo energico, che, rispetto alle canzone precedenti, tende ancora di più ad accelerare il ritmo. Il bello di questa canzone, e di quasi tutto l’album, è che si sentono molto le influenze stilistiche dei musicisti: in questo caso si percepiscono molto gli Iron Maiden, ma nel resto dell’album echeggiano Who, Rolling Stones e soprattutto Jimi Hendrix che rivive negli assoli di McCready.
Con Severed Hand il ritmo sembra finalmente rallentare, ma è solo un illusione: infatti il pezzo è sostenuto da un ritmo incalzante con un ritornello davvero coinvolgente e con Mike che alla sei corde non era così scatenato dai tempi di Ten.
In Marker In The Sand il tema principale è la religione, con considerazioni e domande rivolte a Dio: naturalmente la parte di batteria (su tutto l’album) è da incorniciare, ma si sa, Cameron non è un batterista come tanti. La prima ballata dell’album è Parachutes, canzone di beatlesiana memoria, ma una delle meno riuscite del lotto. Unemployable sembra una canzone da spiaggia (naturalmente non è un offesa), con accordi molto solari stile Beach Boys, ma con un testo a sfondo sociale, forse non dei migliori, ma che serve a chiarire che Vedder non è uno che parla a caso e solo contro Bush; infatti il tema toccato è il lavoro e i lavoratori. Appena uscito, Pearl Jam presenta già canzoni sottovalutate: l’esempio è Big Wave, classica canzone surf firmata Vedder - Ament, un episodio che mancava da tempo. Gone invece sta a significare che la devozione di Vedder nei confronti del suo padre spirituale Pete Townshend (Who) continua nel tempo, ed è reciproca, nonostante le pecche di entrambi nel passato. Il pezzo è fantastico, uno dei migliori scritto da Eddie negli ultimi dischi. Wasted Reprise serve per spezzare il disco verso la fine: si tratta del ritornello di Life Wasted rallentato e suonato dal solo organo.
La terzultima canzone è Army Reserve: anche se la musica è firmata Ament, si sentono molto gli Who e nel ritornello una sferzata blues arricchisce il background sonoro del disco. I confronti col passato sono inevitabili e Come Back non può fare altro che essere paragonata a Black e, forse, ne esce anche vincitrice visto che senza dubbio questa è la perla del disco, dove tutti i componenti danno un contributo, rendendola perfetta. Il disco si chiude con un’altra bella traccia, la lunga Inside Job che ha la particolarità di vedere Mike McCready per la prima volta alle prese con un testo. In conclusione cosa dire di cinque quarantenni che suonano ancora un rock energico che fa invidia anche a molti ragazzini? C’è da dire che sono senz’altro una delle migliori band rock in circolazione e ogni loro uscita è qualcosa che arricchisce il patrimonio musicale, quindi orecchie aperte.
Un 85 perché questo è Rock con la R maiuscola, questa è scuola, è storia ma anche attualità.