- Jean-Marc Butty - Batteria
- Marta Collica - Tastiera, voce
- John Parish - Voce, chitarra
- Giorgia Poli - Basso, voce
1. Salò
2. Boxers
3. Choice
4. Sea Defences
5. Even Redder than That
6. Water Road
7. Somebody Else
8. Kansas City Electrician
9. Stranded
10. Glade Park
11. Even Redder than That Too
12. The Last Thing I Heard Her Say
Once Upon a Little Time
Il nome John Parish a molti non dice nulla ma, ad altri, ricorda la figura mediovale del menestrello che girava di corte in corte, a raccontare storielle e allietare i potenti del tempo. Questo è John Parish ovvero una sorte di cantastorie moderno che, ancora oggi, si diverte ad utilizzare la musica non tanto per le note in sè, ma per la forte dose emozionale che può dare a fianco delle parole. Non a caso, questo suo ultimo lavoro si intitola Once Upon a Little Time, quasi a voler sottolineare che il suo lavoro non è nient'altro che un recitare e imperosnare fatti già scritti e sentiti ma esposti in modo non consono.
Quindi si inzia con una breve introduzione strumentale, Salò, dove le armonie del pianoforte calcano sonorità malicnoniche e dispersive che danno un senso decadenza e sfiducia a colui che l'ascolta. L'intero disco, sarà impregnato di questo genere di suggestioni che porteranno il pubblico ad un lungo viaggio all'insegna della tranquillità e della riflessione "intellettuale". Passando alla traccia successiva, Boxers, si continua a portare avanti quelle sensazioni che avevamo appena ascoltato con l'intro iniziale. Vediamo quindi come la voce di John sia svogliata e canonicamente inquadrata, trasmettendo quasi una routine allienante e assuefante. Un brano che, pur non brillando di chissà quali virtuosismi stilistici (anzi), tiene l'ascoltatore incollato allo stereo proprio grazie alla spirale magnetica che i suoni creano. Come si vedrà col passare del tempo, l'intero album è caratterizzato da un minimalismo sonoro paranoico, quasi a voler far capire che la musica non ha bisogno di roboanti effetti "scenici" per far colpo sul pubblico, ma deve puntare sulle emozioni che essa evoca nella mente di ognuno di noi. E' proprio con i ricordi e le sensazioni che Choice, riesce ad avere un effetto non indifferente. Le atmosfere di questo brano sono surreali da una parte e malinconiche dall'altra. Sembra quasi di trovarsi nel bel mezzo di una mattina invernale, in cui tutto si risveglia a rilento a cominciare dalla natura fino ad arrivare a noi stessi. Possiamo quindi dire che l'idea astratta del sopimento, tipico del letargo, viene qui concretizzato in modo efficace. Finalmente, però, si riesce ad avere anche un pò di movimento che con Sea Defences, ci proietta in quell'Indie Rock pià commerciale e maggiormente conosciuto. Gli strumenti, però, sono sempre ridotti al minimo (chitarra, batteria e basso) e fanno il minimo indispensabile. La voce rimane sempre la stessa delle tracce precedenti, quindi un tono monocorde con qualche leggerissimo cambio di tonalità; un brano di questo tipo ci voleva, per scuotere un pò gli animi.
Si continua sempre su questo filone con Even Redder than That, in cui si riesce a fare un facile accostamento tra John Parish e alcuni brani dei White Stripes. La canzone è molto piacevole ed è caratterizzata da un ritmo tendente al Country classico che, con la presenza della sovrapposizioe di due voci (una maschile e una femminile) trasmette un tono spensierato e gioioso. Dopo questa parentesi movimentata, torniamo al surrealismo sonoro in cui si punta a creare l'atmosfera. Questo effetto, l'abbiamo con la traccia strumentale, intitolata Water Road, che andrebbe benissimo come sottofondo musicale in una delle scene dei film struggenti e malinconici del regista inglese Ken Loach. Vediamo, quindi, come Once Upon a Little Time sia un disco ricco di emozioni anche difficili da rappresentare tramite il mezzo sonoro. Probabilmente uno dei brani riusciti meglio, che riesce ad unire suggestione e melodia, è Somebody Else che, con il suo tipico minimalismo sonoro, ci porta in ambienti ed epoche a noi sconosciute e che forse mai potremo scoprire se non tramite la potenza evocativa che solo la musica possiede. John Parish continua imperterrito ad impiegare la sua voce in modo univoco e privo di enfasi che lascia l'ascoltatore letteralmente disorientato e senza alcun punto di riferimento a cui aggrapparsi. Per quanto riguarda l'aspetto melodico, Stranded, è senza dubbio un brano molto suggestivo che ci proietta mentalmente nel bel mezzo di uno sterminato campo rurale in cui le cicale, col loro tipico canto, vegliano sull'intera natura circostante. La sensazione di quiete che riusciamo a percepire tramite questa traccia è indescrivibile e ci catapulta direttamente, al di fuori delle quattro mura domestiche in cui ci troviamo fisicamente.
Come si è potuto leggere, quindi, Once Upon a Little Time non è un disco facile e adatto a chiunque. Per poterlo aprezzare veramente, bisogna mettersi in testa che quello che andremo a sentire, non sarà un disco facile e di facile appiglio, ma un lungo e complicato viaggio all'interno del nostro più profondo subconscio e che, proprio per questo, non risulterà facile farlo. Quindi, non bisgona pensarlo come un album adatto a tutte le situazioni ma solo a quei momenti in cui decidiamo di staccare per un attimo la spina dalla realtà , per rintanarci in un mondo fatto di suggestioni e soprattutto riflessioni.