- Nick Holmes - Voce
- Gregor Mackintosh - Chitarra
- Aaron Aedy - Chitarra
- Steve Edmondson - Basso
- Lee Morris - Batteria
1. Enchantment
2. Hallowed Lands
3. The Last Time
4. Forever Failure
5. Once Solemn
6. Shadowkings
7. Elusive Cure
8. Yearn For Change
9. Shades Of God
10. Hands Of Reason
11. I See Your Face
12. Jaded
Draconian Times
Tra l'oscurità, il mistero e il cripticismo che da sempre contraddistinguono il Doom da tutti gli altri generi metal, un nome su tutti ha da sempre dettato legge, sperimentando stili e sonorità ancora sconosciute e finendo per influenzare un'innumerevole quantità di band successive: loro sono i Paradise Lost, e se il gothic e il doom metal sono quello che sono, molti meriti vanno attribuiti alla band britannica di Nick Holmes. E se si parla di Paradise Lost, dei "primi", grandi Paradise Lost, allora è inevitabile scontrarsi con Draconian Times, capolavoro dalla portata innovativa meno ingombrante dei precedenti Icon e Gothic (inutile precisare che anche Draconian Times le sue lezioni le ha belle che impartite), ma in ogni caso uno dei dischi più intensi, struggenti e particolari dello scenario metal degli anni '90
Letteralmente superbo per carica atmosferica, ricerca compositiva e costruzione melodica, il gioiello del 1995 è un concentrato di oscurità, di religiosità perversa, oltre che di un ideale sonoro sempre più vicino alla sua espressione universale.
A far partire questo rituale sotterraneo è l'opener Enchantment, un vero e proprio incantesimo trascinato da una serie di refrain da brivido, apripista per le più sofisticate atmosfere dei brani seguenti: l'impeto melodico di The Last Time e Hallowed Land (tra le migliori canzoni del lotto), lo struggente capolavoro Forever Failure annegato in una tempesta di atmosfere decadenti scandite da ritmi lenti e trascinati, o ancora Once Solemn (accattivante e dinamica) e Shadowkings, in cui la potenza evocativa della band si mostra (quasi) in tutto il suo splendore, eruttando nel commovente bridge centrale in una commovente estasi di abbandono e malinconia. Stilisticamente Draconian Times non presenta la minima sbavatura, producendo riff su riff con una costanza ed una capacità di variazione estrema: a subirne le conseguenze sono ovviamente le atmosfere di ogni singola canzone, ognuna col suo particolare mood, con le sue cadenze ma sempre avvolta in un dilaniante concentrato di pura melodia oscura, ora più strappalacrime (il refrain di Elusive Cure) ora più accattivanti e pensate (l'altro gioiello Shades Of God). Non un riff fuori luogo, non un momento noioso, non un arrangiamento banale e prevedibile: come dimostrano anche le conclusive Hands Of Reason, I See Your Face e Jaded - abbaglianti nelle rispettive intuizioni melodiche - Draconian Times è raffinatezza compositiva e genio atmosferico allo stesso tempo, è un flusso oscuro in cui esplodono senza alcuna soluzione di continuità umori malsasni e atmosfere avvolgenti, è un incubo che, sia nei suoi momenti più disperati che in quelli più trasparenti, lascia intravedere un talento compositivo intrascurabile e semplicemente superbo.
Così termina Draconian Times, una delle testimonianze più originali, varie, poetiche e toccanti che il doom europeo abbia lasciato alla storia della musica. Allora non ci resta che soffocare piangendo in questo paradiso perduto, dove la nostra anima urlerà in preda all'infinito fascino della tristezza: "I don't really know what sorry means".
Immortale.