- Mark Nelson - Programming
1. There Can Be No Thougt Of Finishing
2. For “Aiming The Stars”
3. Both Literally And Figuratively
4. Is A Problem To Occupy Generations
5. So That No Matter
6. How Much Progress One Makes
7. There Is Always The Thrill Of Just Beginning
8. Dr. Robert Goddard
9. In A Letter To H.G. Wells, 1932
White Bird Release
Figlio del malumore post-moderno oltre che suo emblematico fotografo, Mark Nelson è uno dei musicisti più rappresentativi di quella storica stagione musicale sviluppatasi agli inizi degli anni '90 che ha silenziosamente scardinato le fondamenta del sound contemporaneo aprendo nuovi e particolarissimi scenari artistici. Un nome su tutti: Labradford. Un nome che nella storia della musica sperimentale è stato talmente sottolineato da far risultare consumate le sue lettere, la sua calligrafia sbilenca, ma non di certo il suo gelido significato che, anzi, pulsa tutt'ora nei cuori di chi l'ha fatto suo e nell'istinto creativo di chi da quella fantomatica figura ha tratto musicalmente ispirazione.
Però, a ormai quasi quindici anni di distanza da quello che fu il suo soffocante capolavoro, Nelson si presenta come un personaggio diverso, estremamente mutato nelle forme e nelle espressioni: abbandonati (anche se non del tutto) i timori esistenziali, le pantomime industriali e quell'inappagabile senso di inquietudine, il musicista statunitense ha da sempre cercato di forgiare uno stile musicale che prendesse spunto dai suoi stessi Labradford ma in chiave più ambientale e, sicuramente, più intimistica.
Quello che nei Labradford era un disegno sonoro in cui il miscelarsi di generi diversi portava ad un'esaltazione del proprio valore sperimentale-concettuale, nei Pan•American, ultimo vero progetto di Nelson, la ricerca stilistica e il tentativo di rappresentarne i collegamenti con la realtà oggettiva vengono meno a favore di un'attività creativa sommessa, fragile e meno impegnata, lontana tanto dagli incubi industriali quanto dall'alienazione metropolitana.
A tre anni dall'ultimo For Waiting, For Chasing e a cinque da Quiet City (suo gioiello sotto questo monicker), i flussi creativi di Nelson, tutt'altro che esauriti, hanno ripreso a scorrere, mostrandoci per l'ennesima volta (la sesta per la precisione) un compositore ermetico e solitario ma ancora capace di rinnovare in continuazione il proprio stile, riuscendo a superare gli scogli di una musica come l'ambient che difficilmente si presta a grandi variazioni su tema. White Bird Release è innanzitutto un disco che, come i suoi predecessori, proietta il cammino artistico di Nelson verso quel vorticoso mutarsi dell'espressionismo più acerbo e labradfordiano in impressionismo: il suono che ne scaturisce è per questo frutto di introspezione e di un sensibile assorbimento della realtà piuttosto che una sua rielaborazione filtrata e distorta; in secondo luogo si tratta di un lavoro estremamente scarno ed essenziale, ora più dilatato (Both Literally And Figuratively e So That No Matter) ora più influenzato, forse troppo, da sonorità fennesziane (There Can Be No Thougt Of Finishing) che ne accrescono in ogni caso il valore melodico ed emotivo.
Nonostante a sprazzi ritorni addirittura l'eco di quelle costruzioni concrète (There Is Always The Thrill Of Just Beginning) a cui Nelson ci aveva abituati ai tempi dei Labradford, White Bird Release si mostra sempre più come un disco dalle sembianze effimere e nascoste, oltre che stracolmo di astrattismo: ma, sebbene i soundscapes ambientali siano splendidamente curati sotto l'aspetto atmosferico, Nelson si dimostra poco in grado di mantenere vivo tale assetto, esagerando per quanto riguarda minutaggio e minimalismo espressivo.
Ciò che infatti impedisce al disco di elevarsi tramite la bellezza atmosferica di cui è permeato è il suo eccessivo prolungarsi in soluzioni fisse, interminabili e sviluppate con poco senso di variazione: non è per questo un caso che gli episodi più brevi risultino essere anche i migliori, come dimostrano ad esempio la cupezza di How Much Progress One Makes e la più dolcemente psichedelica For “Aiming The Stars”, a scapito di brani come la conclusiva In A Letter To H.G. Wells, 1932 in cui il tentativo di protrarsi soavemente nel tempo si trasforma in una ricerca monotona e ossessiva che, riproponendosi anche in altri momenti del disco, rende quest'ultimo indubbiamente più noioso e prolisso, nonostante White Bird Release rimanga un'opera di certo non priva di un suo soffice e particolare fascino.