- Stefan Dimle - basso
- Peter Nylander - chitarra
- Ricard Nettermalm - batteria, percussioni, programmazione
- Petronella Nettermalm - voce, violoncello
- Johan Wallen - piano elettrico, Hammond, Mellotron, tastiere
Guests:
- Anders Nygards - violino, viola
- Jonas Wall - sax baritono
1. Shame (04:32)
2. Your Misery (05:06)
3. Falling (05:10)
4. Still Standing (06:10)
5. Is That All ? (06:49)
6. Procession Of Fools (00:34)
7. There Will Be No Miracles (03:36)
8. Not A Sound (07:25)
9. Silence Of Another Kind (02:41)
Silence of Another Kind
La bravissima Petronella Nettermalm e i suoi Paatos, a soli due anni da quel favoloso Kallocain, pubblicano, come preannunciato già da tempo, il terzo album di studio, tale Silence of Another Kind, un lavoro che riproduce al meglio l’atmosfera Post Rock malinconica espressa dalla band svedese. Il sound è notevolmente mutato da Kallocain, sostenuto fortemente nella sua promozione dalla Inside Out, che nel 2004 scoprì i Paatos e li fece crescere sotto la sua aura di etichetta simbolo del Progressive: votato ad approcci più pesanti dei precedenti platters, Silence of Another Kind si distingue come solita commistione di generi, ma ristretta solo a Progressive Rock e Post Rock.
Già l’iniziale Shame è di grande impatto, delineata dall’usuale melodica voce di Petronella e dalle suadenti note del suo violoncello: tante le influenze che concorrono alla buona riuscita dell’opener, a partire dallo stile originale di Bjork e dei Portishead, fino a raffinate punte avvolgenti come Porcupine Tree e The Gathering. Da sottolineare è proprio il lavoro svolto dalle tastiere e dalle chitarre, capaci di creare eccezionali contrasti cromatici in canzoni quali la King Crimsoniana Your Misery o la terza calma Falling, riconducibile alla passata produzione Paatos.
I due massimi picchi dell’album sono costituiti dalle tracce centrali Still Standing, dal ritmo catchy e dall’impostazione Post Rock elegante ed onirica, e Is That All?, parecchio connessa alle composizioni oscure dei connazionali, nonché amici, Opeth di Damnation.
Dopo il brevissimo intervallo Procession of Fools, che spezza l’andamento del disco, si riprende con la più scontata There Will Be No Miracles, unico capitolo alquanto azzardato di questo Silence of Another Kind: un Alternative per nulla coinvolgente stona con il resto dell’opera, ben più spalmato e legato all’introspezione. Fortunatamente tale brano non viene esteso ampiamente dal quintetto scandinavo, rappresentando una momentanea, seppur pesante, pecca dell’album.
Not a Sound riuscirà nell’ardua impresa di riportare l’ascoltatore a percorrere i meandri della meditazione: la voce si tramuta nella delicata accompagnatrice delle magie atmosferiche dei Paatos e gli arpeggi di chitarra risultano un ottimo tessuto su cui costruire una composizione efficace e capace di coinvolgere emotivamente. La chiave di lettura di Silence of Another Kind è proprio la tristezza che permea ciascun pezzo (ad eccezione della settima deludente There Will Be a Miracle), tristezza che si esprime sia nella morbidezza delle linee liriche di Petronella, sia nell’originale accostamento degli archi e del sax ai tipici strumenti Rock.
Il ritorno del Paatos raffigura quindi un ricercato disegno sperimentale che non deluderà gli amanti dei timbri più inusuali, proposti solo da alcune realtà musicali che puntano alla riflessione e non all’impatto sonoro. Tra queste i Paatos si sono da sempre distinti e l’ulteriore conferma ci proviene dal full-lenght del 2006, una piccola gemma nella discografia che, pur non raggiungendo i livelli di Kallocain, ne uguaglia l’accuratezza di produzione e l’inventiva del song-writing.