- Mike Vennart - voce, chitarra, tastiere
- Gambler - chitarra, piano, tastiere
- Steve Durose - basso
- Mark Heron - batteria
1. Commemorative 9/11 T-Shirt
2. Unfamiliar
3. Trail of Fire
4. Savant
5. Only Twin
6. An Old Friend to the Christies
7. Sleeping Dogs and Dead Lions
8. The Frame
Frames
Riecco gli Oceansize, una delle realtà alternative made in UK degli ultimi tempi più apprezzate e discusse. A volte troppo fin troppo sottovalutati, altre volte invece dipinti in maniera grossolanamente entusiastica, la formazione di Manchester è sempre proseguita per una propria strada alla ricerca di un sound personale, complesso e creativo, mostrando sia pregi che difetti e cercando sempre di perfezionarsi e andare avanti: dopo un esordio interessante e grintoso seppur prolisso e discontinuo come Effloresce ed un seguito più compatto e raffinato ma a tratti pesantino come Everything Into Position, i cinque inglesi ritornano in studio con la loro terza fatica, Frames. Questo disco si presenta come il lavoro della maturità definitiva, che seppur forse già raggiunta stilisticamente già con il precedente full-lenght mancava ancora di qualcosa nella composizione che suonasse più scorrevole e spontaneo.
Tutte le influenze che hanno accompagnato gli Oceansize fino ad ora (dagli A Perfect Circle ai Radiohead passando per Mogwai, Pink Floyd, Dredg, Porcupine Tree, Amplifier e così via) si miscelano con assoluta grazia e scorrevolezza, non c'è discontinuità, disomogeneità o ridondanza, ma anzi una soluzione sonora che in ciascuna delle sette canzoni procede con spontaneità e genuinità su di un percorso lineare, anche semplice, dall'inizio alla fine del brano, puntando ad una forte caratterizzazione melodica ed emozionante. Non è poliedrico a parte forse in alcuni punti, ma anzi per la maggior parte quest'album percorre e porta a compimento un determinato percorso imboccato in ciascuna canzone, piuttosto potremmo dire che gli Oceansize proseguono nel "dilatare" i brani, e rispetto all'esordio quest'approccio si è ormai fatto ben più maturo, e anche più morbido: molto meno presenti la grezzosità e la ruvidezza del debutto, vengono ereditati e sviluppati i momenti più placidi, e l'attitudine alla dilatazione sonora strumentale in certi frangenti tende anche a richiamare certo post-rock. La calda voce di Mike Vennart è dosata, in alcuni momenti cede il posto al resto del gruppo che prende le redini del brano, in altri diventa un punto di riferimento importante per gli altri.
Il difetto nascosto nella ricetta degli Oceansize è che alla fine non ci sono improvvisazioni compositive che suscitino curiosità oppure spunti che varino il discorso (nel complesso un po' monotematico nelle canzoni prese singolarmente, mai però ripetitive da una ad un'altra): si tratta in sostanza di una formula collaudata, ma che proprio per questo permette agli Oceansize di concentrarsi su di un songwriting fresco, personale e godibile, capace di offrire in ogni caso alcune chicche interessanti nel corso dell'ascolto nell'insieme delle melodie.
Commemorative 9/11 T-Shirt inizia con un ripetuto intreccio di tastiera e mini-arpeggi di chitarra che sprigiona melodia e dolcezza da tutti i pori; batteria e basso si aggiungono in rapida successione conferendo maggiore vigore al motivo iniziale che continua a rimanere in sottofondo anche quando sopraggiunge la chitarra distorta e il complesso strumentale si fa sempre più spedito. Cede il posto soltanto nei refrain centrali, quando i riff distorti prendono le redini del brano, in un pregevole mix di energia e melodia. Il motivo iniziale, affidato ai soli arpeggi, comunque, si reinserisce poco prima della conclusione del brano, seguendo uno schema lineare e che si lascia ascoltare alla grande. Unfamiliar sviluppa il lato distorto della precedente traccia, i riff si alternano e si congiungono in una esibizione dinamica, grazie anche all'interso supporto dell'impianto ritmico, ma che non rinuncia mai alla melodia come nucleo pulsante della musica degli Oceansize, anche in partiture più elaborate. Questo processo, che in Effloresce era ancora acerbo e un po' disomogeneo, trova ora completa forma in questo Frames, a coronamento dell'evoluzione personale intrapresa dagli inglesi in quattro anni. Trail of Fire viene introdotta da un pianoforte deciso ma sognante, sostenuto da tenui diteggiature della chitarra di sottofondo. La voce di Vennart si fa sempre più espressiva, mentre il lavoro della batteria è fantastico, capace di pochi interventi semplici ma efficacissimi e perfettamente in sintonia con il mood della canzone, scorrendo con leggerezza ma dinamicità nell'impianto della canzone. Si fa più spedita verso metà canzone, assieme ad un basso allucinogeno e ad alcuni giri di chitarra corrosivi ma melodici, in un crescendo sonoro che si fa via via sempre più emozionante fino a raggiungere il climax a tre quarti del brano. Savant comincia con un suggestivo sintetizzatore che evoca scenari eterei e celestiali, come d'accompagnamento per un viaggio fra le nuvole con destinazione un lontano paese. Qui entrano in gioco i sapienti giochi dinamici e di melodia che il gruppo sa ricreare, donando maggiore versatilità alla canzone ed un finale spensierato con il sopraggiungere di alcuni archi. Only Twin è un po' più malinconica, più per la voce di Vennart e per gli effetti in lontananza che per le note iniziali che suonano invece più cullanti. Ben presto la canzone si espande verso una dimensione al tempo stesso più incalzante e più atmosferica, grazie alla sinergia che c'è fra il lato ritmico e i tappeti di tastiere e strumenti addizionali. Il crescendo si fa particolarmente intenso, quello a cui puntano gli Oceansize è l'emozione, colpiscono con riff e giri di note azzeccati sostenuti da un brillante lavoro alla batteria. La strumentale An Old Friend to the Christies si apre con sfumature più cupe rispetto al resto dell'album; il lento battito regolare della batteria si miscela ad una serie di interventi intimorenti della chitarra, che proseguono con assoluta naturalezza scandendo implacabilmente l'atmosfera, sempre più inquietante, del brano. Verso metà brano arriva una sorta di esplosione, con i chords distorti a riempire lo sfondo mentre una seconda chitarra immersa in acido lisergico pervade l'etere con i suoi interventi corrosivi. Chiusura in diminuendo che torna ai motivi iniziali. In Sleeping Dogs and Dead Lions gli Oceansize giocano a fare i Meshuggah, emulano i loro granitici e meccanici riff sincopati, ma miscelandoli con elementi più alt-rock; degli svedesi non catturano però la medesima intensità, la stessa follia sonora, il risultato è minore rispetto al potenziale che poteva essere espresso. Rimane certamente un brano tecnicamente ineccepibile, ma manca della spontaneità degli altri pezzi, della stessa verve creativa ed emozionale. Una parentesi non riuscita del tutto quindi, anche se rimangono interessanti gli intenti. Infine una chiusura di tendenzialmente sigurròsiana (soprattutto negli arpeggi iniziali) con la quasi titletrack The Frame, leggera, evocativa, capace di picchi più intensi ugualmente dolci fino al midollo, anche nei riff distorti che accompagnano l'ascolto nei suoi momenti finali.
L'album è finito, oltre un'ora di rilassante cullamento fra le note degli Oceansize, un album bello, forse non bellissimo, personale anche se non rivoluzionario, ben fatto anche se un po' di maniera, ma piacevole da ascoltare tutto d'un fiato e nel complesso una gradita conferma, anche se alcuni potrebbero trovarlo lo stesso monotono, preferendo altri indirizzamenti musicali.
Rimaniamo però ancora in attesa del masterpiece definitivo, e se gli inglesi stanno procedendo su di una curva esponenziale nel loro cammino forse non dovremo aspettare troppo a lungo.