- Sinead O’Connor – voce, chitarre, tastiere, percussioni, arrangiamenti
- Marco Pirroni – chitarra
- Andy Rourke – chitarra, basso
- David Munday – chitarra, piano
- Jah Wobble – basso
- John Reynolds – batteria
1. Feel So Different
2. I Am Stretched On Your Grave
3. Three Babies
4. The Emperor’s New Clothes
5. Black Boys On Mopeds
6. Nothing Compares 2 U
7. Jump In The River
8. You Cause As Much Sorrow
9. The Last Day Of Our Acquaintance
10. I Do Not Want What I Haven’t Got
I Do Not Want What I Haven't Got
Una ancora giovanissima Sinead O’Connor, appena ventunenne, esordisce nel 1987 con The Lion And The Cobra, subito ritenuto uno dei più promettenti e rivoluzionari, anche nei contenuti, dischi Pop/Rock dell’epoca. Ad onor del vero quello non fu neanche l’esordio assoluto della cantautrice irlandese, che aveva già avuto modo di cantare le sue prime canzoni all’età di quindici anni, quando iniziò a far parte degli In Tua Nua (con i quali aveva scritto Take My Hand), sconosciuta band che godeva delle simpatie di Bono Vox e compagni, ma fu una brevissima avventura, dato che la O’Connor abbandonò presto la band per collaborare, sempre per un breve periodo, con i Ton Ton Macoute.
Nata a Dublino nel 1966, con una difficile infanzia alle spalle, il divorzio dei genitori, gli abusi subiti dalla stessa madre morta quando lei aveva ancora 19 anni, espulsa dalla scuola cattolica, finì pure in riformatorio per furto, e le cose non andarono meglio neanche in seguito quando si separò dall’uomo che aveva sposato, ma anche il suo atteggiamento ribelle e talvolta immaturo ed ingiustificato, spesso fuori dai canoni comuni non le valsero le simpatie di tutti gli addetti ai lavori e non solo di quelli, nessuno infatti, anche a ragione, riuscì mai a giustificare le sue dichiarazioni e le varie interviste rilasciate dopo la pubblicazione di The Lion And The Cobra, dove minimizzava e giustificava le azioni dell’IRA, polemizzava con gli U2 ed altri colleghi, fino all’eclatante quanto sconsiderato gesto di strappare una foto del Papa in diretta TV al Saturday Night Live nel 1992, cosa che le valse pure l’esclusione dai Grammy Awards. Ma tutta la sua vita, la sua carriera e persino la sua immagine così asessuale e asessuata, data anche dai capelli rasati e dal viso sempre struccato, fecero di lei e delle sue prime opere un continuo contrasto tra genio e sregolatezza, rabbia e romanticismo, sensibilità ed immaturità.
Nel 1990, trascinandosi dietro questo triste e complesso bagaglio di esperienze, la O’Connor pubblica il suo secondo lavoro, I Do Not Want What I Haven’t Got, forse meno sentito e sofferto del precedente, ma sicuramente quello che la fece conoscere al grande pubblico, un lavoro fortemente intimo ed intenso, più speranzoso e di riflesso meno tormentato. Il suo è un Alternative/Folk Rock in cui confluiscono le musicalità celtiche della sua Irlanda, alcune influenze cantautorali dei grandi del passato, ed i suoi testi di denuncia, talvolta fin troppo forti e personali, ma a rendere veramente rivoluzionario e diverso il sound da lei proposto è quell’andirivieni affannoso e straziato della sua voce dal timbro caldo, il canto quasi bisbigliato pronto però a trasformarsi in urlato acuto ed ossessivo.
Dei vari brani presenti il più noto, e certamente anche il più bello, è Nothing Compares 2 U, scritto da un grande artista come Prince, ma da lei ri-arrangiato e totalmente trasformato in quella malinconica e struggente interpretazione, così da farla divenire una delle maggiori ballate romantiche degli anni ’90, o meglio di tutti i tempi. In tutti i brani l’uso degli strumenti si ferma quasi sempre all’essenziale, già nell’opener Feel So Different e nella terza traccia Three Babies che presentano caratteristiche simili, come il suo canto bisbigliato e sussurrato sempre pronto a divenire più acuto e straziato, il tutto su una base melodica accennata dagli archi, come in una litania che lei rivolge a Dio nel primo brano, come il dolore per una tragica esperienza personale nel secondo, mentre una melodia dal forte sapore celtico viene incastonata su una ritmica hip-hop in I Am Stretched On Your Grave, che termina in un finale geniale dove un violino intona un motivo della tradizione folcloristica celtica. La più tradizionale The Emperor’s New Clothes è invece rivolta al music business e a tutto ciò che gli ruota intorno, in particolare giornalisti e discografici per la loro invadenza nella sua sfera privata, molto sommessa invece Black Boys On Mopeds, eseguita servendosi solo di chitarra e voce, che contiene testi di denuncia contro l’odio razziale, poi l’incedere Punk della scandalosa Jump In The River su un buon tappeto sonoro creato da chitarra elettrica e batteria, mentre You Cause As Much Sorrow è un’altra piacevole ballata dall’attitudine Pop, invece The Last Day Of Our Acquaintance è uno dei brani più particolari, infatti la canzone che racconta del suo divorzio prosegue per lungo tempo sommessa e silenziosa fino a sfociare in un bellissimo finale melodico e speranzoso, infine la title-track finale interamente cantata a cappella ed ancora una volta figlia della tradizione folk/celtica della sua terra.
I Do Not Want What I Haven't Got, sospinto in particolare da Nothing Compares 2 U, rappresentò al tempo stesso uno dei primi successi commerciali ed uno dei primi album di culto degli anni ’90, e pose Sinead O’Connor in una ristretta ed eterogenea cerchia di cantautori di belle speranze, come Jeff Buckley o Tracy Chapman, che si affermarono tra il finire degli 80s e gli inizi dei 90s e che per diverse ragioni non riuscirono purtroppo a mantenere tali promesse.