- Karl Sanders - Vocals, Guitars
- Dallas Toler-Wade - Guitars, Bass, Vocals
- George Kollias - Drums, Percussion
1. Kafir! - 06:50
2. Hittite Dung Incantation - 03:48
3. Utterances of the Crawling Dead - 05:09
4. Those Whom the Gods Detest - 08:07
5. 4th Arra of Dagon - 08:40
6. Permitting the Noble Dead to Descend to the Underworld - 03:32
7. Yezd Desert Ghul Ritual in the Abandoned Towers of Silence - 02:33
8. Kem Khefa Kheshef - 06:18
9. The Eye of Ra - 05:01
10. Iskander Dhul Kharnon - 06:41
Those Whom the Gods Detest
Ormai da anni a questa parte i Nile sono un punto di riferimento per tutti gli adoratori del brutal death metal più tecnico e veloce. Tuttavia, una delle tante peculiarità dei Nile non risiede solo nel fatto di suonare alla velocità della luce, ma di farlo in un modo che ti cattura e che non risulta mai freddo ed eccessivamente calcolatore. La pesantezza del gruppo e la velocità d’esecuzione non vengono mai messi davanti alla vena catchy dei pezzi, in termini d’importanza. Complice il groove che il gruppo ha ben consolidato col passare degli anni e che, come vedremo, esplode in questa nuova release e complici le atmosfere tipiche della band che rimandano all’antico Egitto. Con i primi tre album queste atmosfere si manifestarono in modo più pesante per poi scemare con le pubblicazioni più recenti, a favore di un approccio più diretto sostenuto da una registrazione che si stava facendo man mano più pulita e professionale.
Those Whom the Gods Detest è il sesto album della loro discografia e il trio Dallas - Karl - George ci presenta un album che raccoglie e ingloba tutte le influenze e gli stili che il gruppo ha avuto in questi anni di crescita. Per di più, come precedentemente introdotto, il groove ha molta più importanza in questa nuova fatica e lo si può notare subito in molte sezioni centrali dell’iniziale, devastante Kafir! Come al solito la batteria di George è un continuo blast beats, i cambi di tempo si sprecano e la sua versatilità lo riconferma come candidato potenziale al trono di miglior batterista del metal estremo al giorno d’oggi. L’alternanza al microfono di Dallas e Karl dona come al solito il suo contributo all’atmosfera catacombale della canzone mentre la registrazione decisamente tagliente non elimina la pesantezza delle chitarre e finalmente mette in risalto la doppia cassa di George, vera colonna portante. Un plauso va ad Erik Rutan per i suoni del drum-set. La folle velocità di Hittite Dung Incantation non perde mai di vista il tocco facilmente orecchiabile dei riffs che a volte si mescolano ad un tocco leggermente più melodico ed inquietante, ma se si vuole avere la conferma dell’approccio più groove del disco, ecco che la lunga, quasi sempre lenta ed oscura Utterances of the Crawling Dead ci viene in aiuto.
Il ritorno delle tipiche atmosfere egizie si ha con l’inizio della title-track, una canzone che successivamente si sviluppa attraverso fraseggi di chitarra al fulmicotone, cambi repentini di tempo ed improvvise esplosioni di brutalità senza dimenticarsi di un chorus, molto orecchiabile e realmente evocativo. Ad ogni modo, sono le sezioni in mid-tempo ad esaltare maggiormente poiché la vera anima oscura della band viene allo scoperto con tanto di ottime atmosfere, come testimoniato anche dalla successiva, intricata ed affascinante 4th Arra of Dagon. Certo, i fasti e le strutture delle canzoni contenute in un album come In Their Darkened Shrines difficilmente verranno bissati, tuttavia il lavoro svolto qui è sempre più che buono. Come in ogni album dei Nile che si rispetti, prima o poi arriva il titolo chilometrico e in quest’album esso porta il nome di Permitting the Noble Dead to Descend to the Underworld, ovvero un ritorno ad una struttura diretta ed impulsiva. I riffs si fanno serrati e non più distesi, il solismo punta sia sull’atmosfera che sull’impatto creando momenti melodici veramente esaltanti.
Ecco che dopo un semplice intermezzo a base delle tipiche atmosfere tanto care ai Nile, ci si ritrova a che fare con una mazzata incredibile: Kem Khefa Kheshef. Il riff portante è un macigno, riconoscibilissimo tra la marea di cambi qui proposti e neanche ci si dimentica facilmente di alcuni secondi nei quali la band decide di iniettare nel sound sprazzi brevissimi di melodia, talmente brevi da necessitare di un secondo ascolto per catturarli bene. Le infinite rullate come introduzione di The Eye of Ra sono solo un antipasto ad una traccia tirata ma non completamente riuscita poiché solo un riff, quello principale, riesce a catturare l’attenzione. Decisamente meglio le parti soliste che ci introducono alcuni secondi epici ed esaltanti completamente, solamente supportati dalle chitarre. Iskander Dhul Kharnon punta maggiormente sulle linee soliste per quanto riguarda l’inizio, tuttavia è da rimarcare la potenza delle sezioni doomeggianti tra le varie esplosioni di brutal diretto, terminando un album di indubbio valore da parte dei Nile.
La lunga durata non si fa sentire e tutti gli elementi qui proposti sono miscelati con sapienza al fine di mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore. In questo disco rivivono tutti gli elementi classici dei Nile con una registrazione ottima e alcune idee veramente elettrizzanti. Forse non un capolavoro, ma sicuramente una altro più che buon album da parte di un gruppo che difficilmente sbaglia.