Fa paura l'esordio dei Nebula, per il senso di inquietudine che riesce ad evocare anche nei suoi suoni più semplici e nelle sue atmosfere spaziali ed essenziali. Non nego di essermi quasi innamorato del disco al primo fugace ascolto per la freschezza di molti riff proposti e per quel senso morboso che sapevano trasmettere, ma con il tempo e l'avanzare dell'ascolto mi sono anche accorto dei molti limiti del disco (che appunto emergono più da un'ascolto prolungato che non veloce). Il senso del disco, per il sottoscritto, è questo: riuscito a metà, bellissimo da un lato e noioso dall'altro, a volte tocca picchi davvero soddisfacenti e altre volte non decolla… ma procediamo con ordine.
I Nebula (da non confondere con l'omonima band di psychedelic stoner rock formata da ex componenti dei Fu Manchu) sono lizzanesi (della provincia di Taranto), una band che nasce dalle ceneri degli Arkhamian (ormai sciolti), in quanto formati dal bassista Vito Surgo e dal chitarrista/cantante Gaetano Rizzo. Il progetto nasce per voler dare sfogo alle influenze più doom ed oscure del gruppo, e bisogna dire che ci riescono alla perfezione. Anche l'uso di strumenti semplici ed essenziali, come una batteria campionata e una chitarra acustica elettrificata, uniti ad una produzione "casalinga" donano all'album quel tocco di magia che lo rende particolarmente speciale, in quanto evocano suoni inquietanti ed ancestrali.
L'album inizia con Beyond The Gates Of The Past, un riff di chitarra che introduce subito nelle atmosfere malate di Trip, ed è la prima dichiarazione di intenti del gruppo, che procederà di continuo sulla via dell'ambient. Appena fa il suo ingresso la chitarra distorta, depressa, contorta e vagamente epica, seguita dalla voce pulita di Gaetano Rizzo che rende bene il sentimento di misticismo di cui è imbevuto il gruppo, tutto si colora di aria doom. Le delicate note del pianoforte donano un senso di pace al tutto, prima di farsi più melodrammatiche. Poi la traccia scende in un'ambient malato che ha probabilmente l'unico vero difetto nel "durare troppo", e di questo mi soffermerò a fine recensione.
Demoniac è malata fin nel midollo. L'atmosfera iniziale potrei definirla da "space-doom", sembra che il gruppo cerchi in tutti modi di giocare con l'ambient per ricreare ciò che si può provare vagabondando nello spazio assoluto per la galassia, tutto nero, con miliardi di stelle intorno a te e tu che navighi senza punto di riferimento… appena entrano chitarra e voce la depressione diventa tangibile, anche nello stesso "scazzo" della voce (i riferimenti ad Aaron dei My Dying Bride sono fin troppo evidenti e a qualcuno potrebbero risultare fastidiosi) e nell'incedere lento e cadenzato, senza un minimo spiraglio di luce. Ciò colpisce più del pezzo è però il riff introdotto successivamente da una chitarra acustica elettrificata, un arpeggio incredibilmente "smorto", un suono che mi ha riportato alla mente persino i Pixies del grandioso Surfer Rosa (se vi ricordate Where Is My Mind?, il suono è simile!). Notevole, davvero un bel riff. Poi le voci (probabilmente per scimmiottare Dani Filth, e anche questo potrebbe infastidire) si spezzano in un misto di growl e di scream strozzato, ma tutto viene fatto nella maniera più pacata possibile.
Tutto nei Nebula rimanda ad un senso di inquietudine subdola e di pacatezza che rende instabili, un qualcosa di nascosto, una lentezza che prelude alla disgrazia, ed è questa la caratteristica più personale del gruppo, che ad essere sincero mi ha conquistato. La successiva Lost in the Death ha una lunga introduzione pianistica che poi sfocia nello stesso riff lento e cavalcante, con una chitarra e un basso che sembrano onde che fanno su e giù nell'oceano durante un temporale, la voce una preghiera lontana da un'altra dimensione, con dei growl malefici che appaiono all'improvviso. La canzone continua ancora con un piano che si contorce nell'ambient per altri minuti. Un'aria "smorta" e depressa si respira anche in Demons Of The Trees che, ascoltata stando da soli nel buio totale può far accapponare la pelle. La chitarra impazzita corrode il cervello accompagnata dalla voce malata e instabile. La seconda chitarra introduce poi una drammaticità finale azzeccata e piacevole prima della conclusiva No Return. Anche qui pezzo pianistico probabilmente più azzeccato dal precedente, in un finale dove il gruppo finalmente si concede liberamente all'ambient, con melodie che si accavallano per poi sfociare nelle distorsioni di chitarra, stavolta ancor più grezza e "impastata". Accostamento di pianoforte e chitarra grezza che anticipano i finali accordi di chitarra, freddi e liquidi, ed ogni pennata è una spina nel petto. Tutto termina con suoni spaziali che lasciano l'ascoltatore abbastanza inquieto…
Per concludere, i Nebula sono riusciti a dimostrare sufficiente personalità come progetto "ambient-doom", unendo la depressione del doom metal più arcano e "sacrale" alle atmosfere "space" dell'ambient più malato e sulfureo. Sicuramente un bel disco, ma che ha però diversi limiti, nel momento in cui riesco ad ascoltarlo con piacere solo "andando avanti veloce" e saltando le parti più "noiose".
Diciamo la verità: il gruppo è bravo, ha una buona verve compositiva e molti dei suoi riff mi hanno colpito parecchio e continuo ad ascoltarli con estremo piacere, in particolare i riff chitarristici di Trip e Demoniac e la parte centrale di Lost In The Death.
Si tratta però più che altri di vari riff all'interno delle singole canzoni, inframmetizzati da molti momenti che francamente eccedono nell'uso delle tastiere effettate e di suoni ambient che non riescono a decollare. La cosa dispiace ancora di più se pensiamo che questo tipo di canzoni sono pensate per essere comprese nella loro unità più che nei singoli riff. Il disco quindi è riuscito a metà: ci sono riff davvero belli e azzeccati e soprattutto un mood generale di inquietudine e "spazialità" davvero gradevole che dona un po' di freschezza nel panorama doom italiano, però tali idee vengono spesso e volentieri sfruttate maluccio e finiscono col risolversi in pezzi lunghi e suoni di pianoforte esagerati che alla lunga stancano e annoiano. Ricordiamoci però che siamo al debutto, e le premesse sono ottime. Se il gruppo crescerà e affinerà di più la sua personalità e suoi strumenti espressivi potrà uscire qualcosa di veramente buono in futuro…
1. Beyond the Gates of the Past
2. Trip
3. Demoniac
4. Lost in the Death
5. Demons of the Trees
6. No Return
Nebula
Fa paura l'esordio dei Nebula, per il senso di inquietudine che riesce ad evocare anche nei suoi suoni più semplici e nelle sue atmosfere spaziali ed essenziali. Non nego di essermi quasi innamorato del disco al primo fugace ascolto per la freschezza di molti riff proposti e per quel senso morboso che sapevano trasmettere, ma con il tempo e l'avanzare dell'ascolto mi sono anche accorto dei molti limiti del disco (che appunto emergono più da un'ascolto prolungato che non veloce). Il senso del disco, per il sottoscritto, è questo: riuscito a metà, bellissimo da un lato e noioso dall'altro, a volte tocca picchi davvero soddisfacenti e altre volte non decolla… ma procediamo con ordine.
I Nebula (da non confondere con l'omonima band di psychedelic stoner rock formata da ex componenti dei Fu Manchu) sono lizzanesi (della provincia di Taranto), una band che nasce dalle ceneri degli Arkhamian (ormai sciolti), in quanto formati dal bassista Vito Surgo e dal chitarrista/cantante Gaetano Rizzo. Il progetto nasce per voler dare sfogo alle influenze più doom ed oscure del gruppo, e bisogna dire che ci riescono alla perfezione. Anche l'uso di strumenti semplici ed essenziali, come una batteria campionata e una chitarra acustica elettrificata, uniti ad una produzione "casalinga" donano all'album quel tocco di magia che lo rende particolarmente speciale, in quanto evocano suoni inquietanti ed ancestrali.
L'album inizia con Beyond The Gates Of The Past, un riff di chitarra che introduce subito nelle atmosfere malate di Trip, ed è la prima dichiarazione di intenti del gruppo, che procederà di continuo sulla via dell'ambient. Appena fa il suo ingresso la chitarra distorta, depressa, contorta e vagamente epica, seguita dalla voce pulita di Gaetano Rizzo che rende bene il sentimento di misticismo di cui è imbevuto il gruppo, tutto si colora di aria doom. Le delicate note del pianoforte donano un senso di pace al tutto, prima di farsi più melodrammatiche. Poi la traccia scende in un'ambient malato che ha probabilmente l'unico vero difetto nel "durare troppo", e di questo mi soffermerò a fine recensione.
Demoniac è malata fin nel midollo. L'atmosfera iniziale potrei definirla da "space-doom", sembra che il gruppo cerchi in tutti modi di giocare con l'ambient per ricreare ciò che si può provare vagabondando nello spazio assoluto per la galassia, tutto nero, con miliardi di stelle intorno a te e tu che navighi senza punto di riferimento… appena entrano chitarra e voce la depressione diventa tangibile, anche nello stesso "scazzo" della voce (i riferimenti ad Aaron dei My Dying Bride sono fin troppo evidenti e a qualcuno potrebbero risultare fastidiosi) e nell'incedere lento e cadenzato, senza un minimo spiraglio di luce. Ciò colpisce più del pezzo è però il riff introdotto successivamente da una chitarra acustica elettrificata, un arpeggio incredibilmente "smorto", un suono che mi ha riportato alla mente persino i Pixies del grandioso Surfer Rosa (se vi ricordate Where Is My Mind?, il suono è simile!). Notevole, davvero un bel riff. Poi le voci (probabilmente per scimmiottare Dani Filth, e anche questo potrebbe infastidire) si spezzano in un misto di growl e di scream strozzato, ma tutto viene fatto nella maniera più pacata possibile.
Tutto nei Nebula rimanda ad un senso di inquietudine subdola e di pacatezza che rende instabili, un qualcosa di nascosto, una lentezza che prelude alla disgrazia, ed è questa la caratteristica più personale del gruppo, che ad essere sincero mi ha conquistato. La successiva Lost in the Death ha una lunga introduzione pianistica che poi sfocia nello stesso riff lento e cavalcante, con una chitarra e un basso che sembrano onde che fanno su e giù nell'oceano durante un temporale, la voce una preghiera lontana da un'altra dimensione, con dei growl malefici che appaiono all'improvviso. La canzone continua ancora con un piano che si contorce nell'ambient per altri minuti. Un'aria "smorta" e depressa si respira anche in Demons Of The Trees che, ascoltata stando da soli nel buio totale può far accapponare la pelle. La chitarra impazzita corrode il cervello accompagnata dalla voce malata e instabile. La seconda chitarra introduce poi una drammaticità finale azzeccata e piacevole prima della conclusiva No Return. Anche qui pezzo pianistico probabilmente più azzeccato dal precedente, in un finale dove il gruppo finalmente si concede liberamente all'ambient, con melodie che si accavallano per poi sfociare nelle distorsioni di chitarra, stavolta ancor più grezza e "impastata". Accostamento di pianoforte e chitarra grezza che anticipano i finali accordi di chitarra, freddi e liquidi, ed ogni pennata è una spina nel petto. Tutto termina con suoni spaziali che lasciano l'ascoltatore abbastanza inquieto…
Per concludere, i Nebula sono riusciti a dimostrare sufficiente personalità come progetto "ambient-doom", unendo la depressione del doom metal più arcano e "sacrale" alle atmosfere "space" dell'ambient più malato e sulfureo. Sicuramente un bel disco, ma che ha però diversi limiti, nel momento in cui riesco ad ascoltarlo con piacere solo "andando avanti veloce" e saltando le parti più "noiose".
Diciamo la verità: il gruppo è bravo, ha una buona verve compositiva e molti dei suoi riff mi hanno colpito parecchio e continuo ad ascoltarli con estremo piacere, in particolare i riff chitarristici di Trip e Demoniac e la parte centrale di Lost In The Death.
Si tratta però più che altri di vari riff all'interno delle singole canzoni, inframmetizzati da molti momenti che francamente eccedono nell'uso delle tastiere effettate e di suoni ambient che non riescono a decollare. La cosa dispiace ancora di più se pensiamo che questo tipo di canzoni sono pensate per essere comprese nella loro unità più che nei singoli riff. Il disco quindi è riuscito a metà: ci sono riff davvero belli e azzeccati e soprattutto un mood generale di inquietudine e "spazialità" davvero gradevole che dona un po' di freschezza nel panorama doom italiano, però tali idee vengono spesso e volentieri sfruttate maluccio e finiscono col risolversi in pezzi lunghi e suoni di pianoforte esagerati che alla lunga stancano e annoiano. Ricordiamoci però che siamo al debutto, e le premesse sono ottime. Se il gruppo crescerà e affinerà di più la sua personalità e suoi strumenti espressivi potrà uscire qualcosa di veramente buono in futuro…
TRACKLIST:
1. Beyond the Gates of the Past
2. Trip
3. Demoniac
4. Lost in the Death
5. Demons of the Trees
6. No Return