- Aidan Baker - chitarra, programming, voce
- Leah Buckareff - basso, voce
1. You Write Your Name In My Skin (25:39)
2. You Write My Name In Your Head (7:11)
3. You Write Your Name In My Blood (26:13)
Autopergamene
Ancora più oscuri, mai così malati e inquieti eppure come sempre instancabili e iper-produttivi, i Nadja di Aidam Baker tornano ad infestare il panorama drone-ambient internazionale con una nuova, colossale epopea nei meandri del terrore e dell'inquietudine umana. Non tradendo l'ormai nota facilità tramite cui il progetto canadese sforna lavori su lavori ad una velocità a dir poco pazzesca, Autopergamene rilancia - a meno di un anno dal precedente doppio cd Under the Jaguar Sun e dallo struggente split con gli americani Pyramids - il mondo sotterraneo di uno dei monicker più all'avanguardia dell'ultimo decennio. Assieme al tanto rimpianto (e defunto) progetto statunitense The Angelic Process, sono stati infatti i Nadja per primi a dilatare ed arricchire l'atmosfera del drone con l'onirismo e la profondità effettistica dello shoegaze, allontanandosi quindi dalle sponde più tradizionali del genere (rendendo d'altronde palese il distacco dai Sunn O))), per anni suo unico vero paradigma) e dando di fatto vita ad un nuovo modo di intendere e comporre il drone.
Quattordicesimo studio full-lenght in sette anni (senza contare gli altri sette Ep e gli altri undici lavori rilasciati sotto forma di split o collaborazioni), Autopergamene si riaffaccia prepotentemente sulle commistioni timbrico-atmosferiche dei primi album - Bliss Torn from Emptiness (2005) su tutti - rievocando il devastante connubio di feedback stridenti, discese ambientali e vastissime aperture melodiche che fece la fortuna dei primi full-lenght firmati Nadja.
In Autopergamene Baker e Buckareff immettono tutto il loro essere: trasmettono il terrore più lancinante, si immergono in un avvolgente onirismo dal sapore misticheggiante, si inabissano nell'oscurità più atroce, evocando un caleidoscopio di suoni dalla travolgente carica atmosferica.
Pur senza presentare nulla di effettivamente nuovo, l'ultimo lavoro dei Nadja colpisce profondamente e trascina per tutta la sua durata grazie alla solita, instancabile capacità di Aidam Baker di suggestionare l'ascoltatore attraverso una ricchezza timbrica di un altro mondo. Così accade con l'opener dell'album, ovvero quella You Write Your Name In My Skin che ci svela l'essenza più profonda e toccante dell'intero Autopergamene: introdotta da un lentissimo (e forse eccessivamente prolisso) crescendo ambientale, il brano si dispiega man mano e si apre ad una straziante cavalcata strumentale di ritmi cadenzati, distorsioni sognanti e di un vero e proprio flusso effettistico (tra synth e fiati Baiker crea infatti un universo timbrico che definire suggestivo sarebbe riduttivo) che arricchisce in maniera spaventosa la portata espressiva del brano, prima che lo stesso si chiuda mediante un'altra discesa ambientale pacata e silenziosa.
Il secondo episodio, You Write My Name In Your Head, si apre invece in maniera del tutto opposta all'ipnotismo mistico della splendida opener: laddove il primo componimento si distendeva lungo fraseggi lenti e per certi versi ariosi, la traccia centrale dell'album (che è anche la più breve, visti i suoi soli sette minuti di durata) si immerge immediatamente in un demoniaco rituale drone/doom metal, chiudendo la porta a qualsiasi evoluzione effettistico-atmosferica e riproducendo per tutto il proprio corso uno straziante tappeto di chitarre pesantissime su cui si impone, in tutta la sua terrificante forza espressiva, il growl filtrato di un Aidam Baker semplicemente d'oltretomba. Ultimo, lacerante frammento di Autopergamene, You Write Your Name In My Blood riprende quasi letteralmente l'assetto strumentale e melodico dell'opener, immergendola però in un'atmosfera ancora più viva e straziante: l'apertura ambientale è questa volta affidata ad una chitarra pulita su cui man mano si stendono i synth di Baker, prima che faccia ingresso lo spossante crescendo drone della fase centrale, compendio ultimo della malattia visionaria dei Nadja con le sue possenti stratificazioni timrbiche e i suoi feedback come non mai strazianti.
Discutibilissima, comunque, la scelta di riproporre nello stesso album (che, ricordiamo, conta solo tre tracce) una rielaborazione - peraltro con pochissime variazioni su tema - dello stesso brano, ed è in effetti questa la zavorra che blocca maggiormente Autopergamene visto che, ancora una volta, i Nadja erano riusciti a tirare fuori un disco dannatamente visionario e suggestivo.