Chris Milnes - Vocals
John Milnes - Drums
Dan Nastasi - Guitar
Scott LePage – Bass
1. Knock Knock
2. Nazichizm
3. Caddy Killer
4. M.B.
5. Innocents
6. Daddy’s boy (Theme Song)
7. F.U.C.K.
8. U-R Nothing
9. A.I.D.S.
10. Life 4 Def
11. Laughing in Your Face
12. Woody
13. Bushpigs
14. Mr. President
15. I.R.S.
16. Shumbluh
Can't You Take a Joke?
Nell’affollato panorama hardcore/thrash americano di metà anni 80, i Mucky Pup hanno forse rappresentato al meglio la frangia più umoristica del genere. Formatisi nel 1985 nel New Jersey grazie al chitarrista Dan Nastasi, i nostri musicisti hanno subito sviluppato uno stile che prendeva ispirazione da tutto quel calderone di band che proprio in quegli anni stava dando il meglio. Citiamo a dovere, D.R.I., S.O.D., M.O.D., Cryptic Slaughter, Suicidal Tendencies e Agnostic Front.
Quello dei Mucky Pup è uno stile che attinge a piene mani da vari generi: il thrash metal è ben riscontrabile in molti riffs di chitarra (tanto che la band è stata meritatamente inserita nel 1988 nella compilation della Roadrunner Stars on Thrash), mentre le influenze punk/hardcore si trovano nel timbro infantile della voce, nella struttura delle canzoni e nei testi politicizzati. Ciò fa sì che rientrino nell'insieme del cosiddetto "crossover thrash" (da non confondere con il crossover inteso come rock/metal unito a funk o rap).
Dopo la pubblicazione di due demo, Live And Mucky e Greatest Hits, che vendettero ben 1.200 copie insieme, la band venne messa sotto contratto dalla Roadracer Records, sorella della Roadrunner, per poi accordarsi con la Torrid Records per la distribuzione del primo album, questo Can’t You Take a Joke?.
L’anima “politically incorrect” e tanta voglia di divertirsi sono le basi per creare un buon album, troppo spesso sottovalutato o sin d’allora, forse, mai considerato veramente. A torto.
I suoni essenziali ma sempre abbastanza puliti e le veloci partenze in brevi canzoni creano un buon impatto musicale, senza tralasciare i vari intermezzi pieni di vocalizzi strani, versi, rumori vari e chi più ne ha più ne metta. Lo stile ci è subito chiaro grazie al minuto scarso di una punkettara Knock Knock e le sue velocizzazioni improvvise tra stacchi umoristici. L’anima più thrash rivive nella seguente Nazichism o nella mitica Lie 4 Def, non a caso inclusa nella succitata compilation ad opera della Roadrunner. In questi due casi in particolare, la band sa quando deve farsi più “matura” e buttarsi a capofitto nel ricreare riffs pesanti e taglienti.
A dir poco esilarante nel suo stile punk – Oi! Il ritornello di una grottesca M.B., passando per l’infantile (in senso buono) Daddy’s Boy o la tirata F.U.C.K., anch’essa molto legata al thrash metal come stile. Le sfuriate di batteria si susseguono per sostenere linee vocali impazzite ma mai squillanti e di conseguenza, noiose o fastidiose. Esse conservano sempre un timbro roco e veramente adeguato ad un genere che funge da ponte perfetto tra vari generi.
Analizzando la seconda parte del disco, possiamo notare l’incipit lento e pesante di una successivamente veloce Laughing in Your Face o il gioco tra strumenti e intermezzi di una massiccia Bushpigs. La critica sociale raggiunge il picco nella graffiante, acida e divertente Mr Prezident, concentrato di umorismo e rabbia tipico del genere volto ad attaccare direttamente la carica più alta degli U.S.A., per continuare con la veloce I.R.S. e gli stop and go della finale, strumentale, Shumbluh.
Le canzoni sono scorse veloci, facendomi divertire ma senza scelte eccessive che avrebbero potuto condizionare la bontà di un prodotto genuino, semplice e spontaneo da parte di quattro ragazzi ancora in preda agli sfoghi adolescenziali. Il loro amore per il punk old-school (il loro moniker deriva direttamente dal singolo pubblicato nel 1977 dalla English punk band Puncture e ripreso successivamente anche dai The Exploited) e per l’allora sano thrash metal, sono alla base di quest’album.
Peccato che la band successivamente avrebbe puntato su un suono maggiormente improntato al groove, facendo sì che tutto ciò che di bello che avevano creato svanisse, e con sé il ricordo di una band che forse raccolse troppo poco nella sua carriera.