- Lemmy - basso e voce
- Phil Campbell - chitarra
- Mikkey Dee - batteria
1. Sucker (02:59)
2. One Night Stand (03:05)
3. Devil I Know (03:00)
4. Trigger (03:53)
5. Under The Gun (04:44)
6. God Was Never On Your Side (04:21)
7. Living In The Past (03:45)
8. Christine (03:42)
9. Sword Of Glory (03:57)
10. Be My Baby (03:40)
11. Kingdom Of The Worm (04:08)
12. Going Down (03:35)
Kiss of Death
Una band come i Motörhead non ha certo bisogno di presentazioni, la musica parla da sola. Sulla cresta dell’onda da qualcosa come trent’anni, Lemmy e soci non hanno mai cambiato stile né attitudine, conquistandosi l’ammirazione di molti ed il disprezzo di altrettanti. Loro francamente se ne infischiano e continuano per la propria strada, fra dischi spaccaossa e concerti e dir poco devastanti. L’Italia è una tappa fissa dei loro tour, tuttavia, a detta di molti, vederli on stage rimane sempre un piacere. Con Inferno avevano stupito un po’ tutti, specialmente chi li credeva ormai morti, e con Kiss Of Death hanno quindi il difficile compito di ripete quanto di buono fatto due anni fa. Signore e signori, questi sono i Motörhead.
Il tanto atteso nuovo lavoro si apre nel più classico dei modi. Qualche secondo e via: ritmo serrato, chitarre che macinano riff pesantissimi e la voce di nonno Lemmy sempre a farla da padrona. Sucker non stupisce più di tanto, ma c’era da aspettarselo. Nonostante ciò, l’opener di Kiss Of Death rimane la tipica canzone in stile Motörhead: bella e maledetta. One Night Stand presenta invece un incedere più ritmato ed un sound molto Rock And Roll. Altro grande successo. Lemmy non sembra essere penalizzato minimamente dall’età e la sua inconfondibile voce resta grezza, sporca, malata, unica. Non c’è però solo un cantante nella band inglese ed i riff, costantemente sopra le righe, lo ricordano a chi, mitizzando il signor Kilmister, mette spesso e volentieri in secondo piano Phil Campbell e Mikkey Dee, due musicisti la cui tecnica è assolutamente indiscutibile. Senza dubbio lo scettro di miglior canzone del disco va a Trigger, pezzo impetuoso e coinvolgente, che vede una band veramente scatenata dare il meglio di sé, spingendo sull’acceleratore senza tanti problemi né ripensamenti. Difficile trovare in giro un drumming così devastante da spazzare via dubbi e perplessità in un colpo solo. I Motörhead sono tornati, e si sente! Il disco può vantare una produzione davvero eccezionale, capace di mettere in risalto ogni singolo passaggio. Tutto ciò appare in maniera lampante proprio durante la quarta traccia di Kiss Of Death, Trigger appunto.
Si prosegue con Under The Gun, brano dal forte sapore southern, caratteristica questa che accomuna moltissime canzoni dell’album, come la successiva, splendida, God Was Never On Your Side. Lemmy si trasforma, diventa poeta, scrive ed interpreta alla grande una perla destinata a far parlare di sé, una ballata fatta di whiskey e polvere, ma anche di emozioni allo stato puro, emozioni che solo i Motörhead sanno regalare. Fin qui tutto perfetto, ma purtroppo, come spesso capita, non è tutto oro quello che luccica. Nella parte finale di album, infatti, i pezzi sfiorano soltanto i livelli qualitativi toccati da tracce quali Sucker, One Night Stand o Trigger. Sebbene il minutaggio di Kiss Of Death non sia elevatissimo, sarebbe stato più produttivo fare una selezione tre le dodici tracce, in modo da offrire al pubblico un lavoro scarno ma intenso. In questo modo i vari brani di riempimento, vedi Living In The Past o Be My Baby, non avrebbero trovato spazio sul full lenght, andando magari ad arricchire, perché no, un singolo. Se con Sword Of Glory le parti vocali iniziano a risultare abbastanza ripetitive, lo stesso non si può certo dire dell’assolo di Mr.Campbell, stavolta veramente strepitoso. La già nominata Be My Baby, Kingdom Of The Worm e Going Down, seppur in quantità minore, chiudono l’opera in malo modo, frettolosamente e senza quella passione che nel corso degli anni ha reso i Motörhead una band di culto per milioni di appassionati in tutto il mondo. Un vero peccato, specialmente se si pensa all’impeto micidiale con cui Kiss Of Death si era aperto.
Ancor prima che Kiss Of Death uscisse c’erano persone, esperti o pseudotali, che affibbiavano al disco critiche insensate. E’ stupido, da un gruppo come i Motörhead, aspettarsi un album sconvolgente, magari con innesti Prog o chissà cos’altro. Pur molto lontano da capolavori come Overkill e Ace Of Spades, Kiss Of Death resta quindi un full lenght in grado di soddisfare sia i fan di vecchia data che le nuove leve. Bentornati Motörhead!