- Neal Morse - voce, chitarra
- Randy George - basso
- Mike Portnoy - batteria
- Paul Gilbert - chitarra
1. The Door (29:14)
2. The Conflict (25:00)
3. Heaven In My Heart (05:11)
4. The Conclusion (16:34)
Sola Scriptura
Con la straordinaria media di un disco all’anno (Testimony nel 2003, One nel 2004, ? nel 2005), torna a cavallo tra 2006 e 2007 il polistrumentista statunitense Neal Morse con Sola Scriptura, nuova opera Progressive Rock che esprime in sé tutto il feeling già conferito in passato al sound dei suoi ex Spock’s Beard.
L’album tratta ancora una volta di temi cristiani, proseguendo la scia iniziata dai precedenti dal punto di vista lirico: se in ? veniva trattato il rapporto mistico tra uomo e Dio, in Sola Scriptura Morse si sofferma sulla storia di Martin Lutero, monaco agostiniano che provocò la scissione della Chiesa Protestante dalla Cattolica attraverso le 95 tesi affisse al portone della Cattedrale di Wittenberg. La figura di Lutero affascina un Morse che appunto intitola il lavoro Sola Scriptura, affermando che ogni individuo deve vivere secondo le Sacre Scritture e non secondo i dogmi della Chiesa.
Osservando la tetra copertina di Sola Scriptura, si potrebbe pensare che Neal Morse abbia mutato il proprio sound in qualcosa di misterioso ed oscuro, che meglio interpreti il contesto lirico dell’album: invece, il timbro del musicista americano è rimasto intatto, sebbene egli continui ad sottolineare la sua volontà di tralasciare le pubblicazioni precedenti durante la stesura di un nuovo full-lenght.
Ad affiancarlo nell’impresa titanica di tessere tre canzoni lunghissime e complesse e una breve traccia, più accessibile, sono intervenuti Paul Gilbert, celebre chitarrista dei Mr. Big, e Mike Portnoy, batterista dei Dream Theater, da tempo partecipante al progetto solista di Morse.
Purtroppo, rispetto ai predecessori, Sola Scriptura non riesce ad inserire elementi nuovi che possano farlo distinguere per originalità: le suite Progressive proposte sono certamente elaborate e colossali, ma rischiano di far perdere l’ascoltatore nei meandri visitati e nelle decine di temi simili che si susseguono. The Door ne è appunto un esempio, tuonante nell’introduzione e poi scadente nel suo incedere. Non si mettono sicuramente in dubbio le capacità tecniche del trio, nonché quelle di song-writing di Morse, ma si fatica a comprendere che cosa spinga l’americano da anni a questa parte a presentare gli stessi stilemi e le stesse soluzioni.
In una scena Progressiva dove si alternano dozzine di gruppi e di artisti solisti che fanno dell’approccio tecnico il loro unico marchio, Neal Morse non riesce ormai più a costituire una realtà a sé stante, conformandosi a ciò che il mercato sembra andare cercando. Sembra che negli ultimi anni sia nata una nuova corrente, testimoniata dai lavori dei solisti (Bodin, Dominici ecc), che non bada a concepire la musica come qualcosa di spontaneo sebbene tecnico, ma come una serie di virtuosismi, inutili alla lunga e tutti fin troppo simili. Anche Neal Morse ha ridotto la propria inventiva con un disco piatto e non trasudante di emozioni.