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- Mark Sandman - 2-string slide bass, vocals, organ, tritar (3-string slide guitar), guitar, piano
- Dana Colley - baritone sax, tenor sax, double sax, triangle
- Jerome Deupree - drums, percussions
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1. Good
2. The Saddest Song
3. Claire
4. Have a Lucky Day
5. You Speak My Language
6. You Look Like Rain
7. Do Not Go Quietly Unto Your Grave
8. Lisa
9. The Only One
10. Test Tube Baby-Shoot 'em Down
11. The Other Side
12. I Know You, part I
13. I Know You, part II
Good
Morphine, una delle realtà più sorprendenti dell'ultimo decennio del ventesimo secolo.
Nati in America in piena epoca grunge, andando controcorrente con una musica molto più soffusa, calda e avvolgente, che affonda le sue radici in un secolo di tradizione blues, jazz, cantautorato anglosassone e soft rock (riuscendo a combinare il tutto in uno stile innovativo e originalissimo), i Morphine vengono formati da Mark Sandman e Dana Colley nel 1989 a Cambridge nel Massachussets. Sandman iniziò la sua carriera nel gruppo blues rock Treat Her Right, mentre Colley proveniva dai Three Colors di Boston.
Dopo aver invitato il batterista Jerome Deupree ad unirsi a loro, gli americani iniziarono a maturare un'idea musicale davvero talmente unica e personale che certi aggettivi rasenterebbero l'eufemismo. Il primo album si intitola Good ed è il 1992.
Quando si chiedeva a Sandman di descriverla, lui rispondeva con un po' di ironia che la musica dei Morphine era un "low rock", riferendosi principalmente allo stile sommesso e dalle tonalità basse del gruppo, ma il termine che forse preferiva era "baritone experience" (termine che amava riproporre citando anche la Jimi Hendrix Experience). Infatti il loro stile era davvero unico e non inquadrabile nelle precedenti catalogazioni. Basti pensare all'assenza della chitarra elettrica, strumento simbolo del rock (e per taluni forse sarà sacrilegio), al cui posto troviamo invece inusualmente un denso, dolce e al tempo stesso intenso sassofono, quello di Colley, dal tocco unico nel costruire le atmosfere delle canzoni che passano con disinvoltura da momenti più soffusi ad altri più energici, passando per altri più sofferti. Ma è soprattutto Sandman che recita un ruolo essenziale, con la sua carismatica, calda e profonda voce baritonale (per l'appunto) e con il suo unico basso fretless a due corde (!), suonato prevalentemente con la tecnica dello slide o con lievi pizzichi, con le quali costruisce brani minimali ma diretti ed emozionanti.
Fu sotto ispirazione di determinati strumenti folkloristici africani (che avevano una sola una corda e si suonavano in maniera particolare) e raccogliendo l'eredità dei Treat Her Right che il buon Mark ebbe l'ispirazione principale per lo strumento con cui edificò l'apparato sonoro unico del gruppo. Assieme a Colley la sinergia diviene perfetta, e se da un lato si è più volte parlato dell'eredità di bluesmen e cantautori come Tom Waits nell'attitudine mesta e nel mood cupamente inquieto edificati dal binomio basso-voce di Sandman, è altresì vero che il contributo di Colley ha conferito un tocco ancora più speciale alla musica, fra ballate cupe e soffuse ed interventi che riportano linfa vitale al cool jazz. Colley si dimostra versatile e creativo, passando agevolmente fra sassofono baritono (di nuovo per l'appunto), soprano e tenore, occasionalmente prendendo in mano anche uno sporadico sassofono basso e a volte sovrapponendone due alla volta.
Non dimentichiamo comunque anche l'apporto dato da Deupree, batterista morbido, scorrevole, ma anche dall'ottimo senso del dinamismo, e intelligente come pochi - assolutamente inventivo .
Il tutto confluisce in un'opera dalle atmosfere notturne e fascinanti, a tratti vicina alla new wave nella sua elasticità, dalle tonalità pessimiste e in alcuni punti addolorate ma anche capaci di momenti più energici, mentre i testi riprendevano il tocco del periodo beat come del blues più desolato - rielaborati dalla poeticità di Sandman.
L'iniziale Good ci introduce nell'album con le sue morbide ma orecchiabili linee di basso, un riff semplice ma accattivante, mentre lo sfondo della canzone viene scandito dalle percussioni e dal timido sassofono. Il tutto è suadentemente notturno, oltre che breve, essenziale, minimale.
Viene poi The Saddest Song: forse in termini assoluti il superlativo è un po' esagerato, ma l'espressività di questa canzone, il sentimento che riesce a sprigionare è eccezionalmente più reale e sentito che nella stragrande maggioranza delle ballate "strappalacrime" in cui moltimila gruppi pop e rock puntualmente si cimentano come se fosse un obbligo a cui attenersi per mero formalismo. Sandman riesce in ciò semplicemente con la sua calda voce, il triste basso, l'intenso accompagnamento della batteria di Deupree e il forse anche troppo breve intervento evocativo del sassofono di Colley.
Nella successiva Claire si ritorna su binari più pacati, guidati dal canto vellutato e sfocianti poi in un assolo di sassofono commovente che presto acquista brio e vigore - ma sempre in maniera delicatissima. Gli arrangiamenti persistono con un pizzico di minimalismo che non fa che accentuare l'efficacia e la presenza delle note, mai ridondanti e sempre significative. Le sonorità sono un pregiato rimescolamento di stilemi del passato con uno spirito a cavallo fra più decenni difficilmente riscontrabile in altri gruppi, proseguendo ancora nell'accattivante e mordace Have a Lucky Day e nell'incalzante You Speak My Language (swing e rockabilly dall'ossatura energica e al tempo stesso ipnotica) non è facile rimanere impassibili di fronte ad un lavoro le cui sonorità suonano al tempo stesso tanto familiari e tanto uniche.
La dimensione sommessa in cui il disco immerge l'ascolto è il terreno di maggior gioco della flessibilità della musica; se il blues/jazz a tinte dark di You Look Like Rain, forse il pezzo più noir dell'album (con un Sandman sempre più retrò), è una desolata e dimessa perla notturna, Do Not Go Quietly Unto Your Grave (fra jazz e cenni di salsa) catapulta in uno scenario metropolitano incupito, vivo ed introspettivo, dove Sandman espone le proprie idee sorretto dalla strumentazione cadenzata, lasciando poi spazio al breve, sensuale assolo di sassofono di Lisa.
Lo stile di Sandman è libero e genuino, capace di essere deciso e al contempo di tingersi di malinconia e dolcezza poco dopo, ricco di una potenzialità espressiva enorme. La misurata The Only One invece ritorna sui passi di Have a Lucky Day, con un po' di schematicità, prima però dell'esplosione di vivacità della frenetica Test-Tube Baby.
Ogni singolo motivo cattura e immerge nella sua dimensione, rendendo partecipi all'ascolto della musica come se essa comunicasse direttamente come si sta sviluppando, con naturalezza e freschezza, ma lasciando sempre celati nuovi dettagli che non si erano notati e di cui ci si accorge sempre più ad ogni ascolto, impreziosendo il lavoro di un gruppo che non finisce mai di coinvolgere e stupire. La melodia di On the Other Side è melanconica ma catturante, a tratti anche inquietante, dipinta su atmosfere fumose costruite sulla sezione ritmica trascinante. Ne risulta forse il pezzo più espressivo e memorabile del disco.
La chiusura viene affidata alle due parti di I Know You, con bassi ipnotici e fiati fluidi, canto quasi sussurrato e atmosfera noir corposa, intrigante.
Si conclude così Good, un album in cui dietro ogni gioco di note, dietro la sua strabiliante personalità, si nasconde un cuore pulsante grazie a cui il disco scorre sempre perfettamente lineare nella sua efficacia melodica; a tratti sembra anche apparentemente un po' scarno, ma è in realtà diretto e genuino. Un piccolo cupo gioiello perduto, capolavoro di inizio anni '90, capace di trarre spunto dalla musica del passato e di riattualizzare il tutto con un estro ineguagliato ed uno stile unico ed innovativo.