- Fernando Ribeiro - voce
- Ricardo Amorim - chitarre
- Mike Gaspar - batteria
- Pedro Paixao - sintetizzatori
- Sergio Crestana - basso
1. Wolfshade (A Werewolf Masquerade) (07:43)
2. Love Crimes (07:34)
3. ...Of Dream and Drama (Midnight Ride) (03:59)
4. Lua d'Inverno (01:48)
5. Trebraruna (03:30)
6. Vampiria (05:36)
7. An Erotic Alchemy (08:05)
8. Alma Mater (05:37)
9. Atægina (Digipack bonus track) (04:01)
Wolfheart
Un lago, le acque come velluto. Una chitarra arpeggia suadente; tempo di immergersi,un passo alla volta, di abbandonarsi alle emozioni, di ricongiungersi con qualcosa che l’uomo ha abbandonato in epoche incredibilmente remote. Tempi di serenità, ma non solo: tempi di rabbia, ira che esplode con un grido che sa di terra e di tuono. Passaggio obbligato, senza scosse perché dettato dall’istinto, libero e finalmente padrone. Istinto di lupo, cuore di lupo, Wolfheart.
Si apre il sipario su uno degli album che hanno fatto la storia di un genere, quel gothic metal che ha raggiunto l’apice compositivo negli anni novanta. Cardine, tra gli altri, della sua fortuna è il primo full-lenght dei portoghesi Moonspell, Wolfheart.
Opera in particolare del genio di Langsuyar, alias Fernando Ribeiro, da principio batterista, successivamente cantante dalle particolari, uniche capacità espressive, e mente di testi appassionati e coinvolgenti nella loro tessitura a metà strada tra letteratura gotica, inno dionisiaco e tradizione folcloristica.
Martellante, arrabbiata, come fosse preda di estasi, è la musica che esce dagli strumenti dei Moonspell, e la opener Wolfshade (A Werewolf Masquerade) ne è prima consacrazione. La voce di Langsuyar salta da toni bassi , puliti, pieni e maestosi, a uno screaming infervorato, mentre la chitarra di Ares e la tastiera, più sommessa, di Passionis tessono una marcia spiritata che assume toni diversi quando gli strumenti si infittiscono, Mike alle pelli attacca in doppiacassa, e Langsuyar comincia a parlare, anzi a pregare, a invocare, perché più che una canzone Wolfshade è un inno alla notte, alla Natura, creatrice di colei che è metà donna e metà lupo, “lei che porta la notte e dalla notte è portata”. Scende la pace, scende la chitarra acustica su toni sommessi e pacati, che sfociano in un riff di brezze atlantiche e di rinascita, per poi lasciare ancora posto a quel dolce tormento della volontà trascinata dall’estasi. E poi, infine, qualche arpeggio, che chiude il primo cerchio.
La seconda traccia, Love Crimes appare più esaltata, anche se non più violenta, come il lupo che si sveglia, ha fame, si lancia nella caccia; si blocca attonito e ascolta, per un po’, i rumori della notte: una voce di donna, orante, fa’ da sottofondo al parlato, alla nuova preghiera di Langsuyar, alla martellata doppia cassa. Un serie diversa di ritmi si succede, si situazione che apparentemente un legame non hanno, ma, non si sa come, tutto, persino un décalage che sa impressionantemente di Iron Maiden, è permesso. Un viaggio affascinante in tutte le diverse sfumature del suond dei Moonspell riassunte, a fianco del lupo che corre sempre più veloce, e poi, d’un tratto, si ferma, e si assopisce, cullato dai sognanti effetti di tastiera; un ultimo sussulto, un occhio che si apre feroce e implacabile, e poi, il silenzio.
Più ammiccante e cavalcante il capitolo successivo, …Of Dream And Drama (Midnight Ride); dopo un un’introduzione maligna da parte degli arpeggi di Ares, con la cassa che risuona attutita ricordando un cuore che batte, parte una veloce cavalcata, più diretta delle precedenti, con maggiori richiami al metal europeo più tradizionale. Riff più accattivanti e voce pulita guidano fino ai due assoli di chitarra e tastiera, veramente trascinanti.
Trebaruna è, anzi era, la dea lusitana dell’amore e della guerra, ed è a lei che i Moonspell dedicano l’omonima canzone, pezzo in cui prevale fortemente la componente più folk del gruppo. Introdotta da una pregevole introduzione di chitarra acustica e flauto Lua D’Inverno, che vuole forse ricordare la nascita della dea, figlia appunto della luna, Trebaruna è un inno pieno di maestosità, arricchita dalle cornamuse portoghesi, dalla batteria dai ritmi tribali, e dal cantato in portoghese. Importantissimo qui il lavoro svolto da Ares, il cui basso fa’ da sostegno a tutta la struttura della canzone. Splendido il testo in portoghese; qualcuno ha provato a dire che i Moonspell hanno creato l’epica portoghese. Non siamo d’accordo in toto, ma bisogna riconoscere le capacità creative e poetiche di Langsuyar.
“Vampiria… you are my destiny. My only love and true destiny”. Una delle voci più malvagie del pianeta trasporta dal calore della penisola iberica ai freddi monti della Transilvania. Vampiria è probabilmente il manifesto, assieme ad altre due o tre canzoni dei Theatre of Tragedy e dei Paradise Lost, del gothic metal. Quel misto di drammatico erotismo e crudele alterigia che da sempre popolano le fantasie legate alle più cupe leggende moldave sono trasportate in musica. Tutto tremendamente semplice: un lavoro di tastiera che accompagna con sommessa malignità le prime parole di Langsuyar, a cui si affianca poi la batteria, con un incedere lento e implacabile come la morte, come il volo di Vampiria, la stella della notte che ha iniziato a brillare. Segue uno scoppio di rabbia in doppia cassa e screaming, a cui fa’ eco la subentrata chitarra, in un incedere di gloria nera, che raggiunge l’apice con la reintroduzione delle tastiere.
Analoghe soluzioni si riscoprono in An Erotic Alchemy, il vero capolavoro dell’album. Più complessa nel suo incedere, con gli strumenti che si sommano uno ad uno, per tacere e poi riprendere lo stesso percorso. E ancora splendido il dialogo tra l’oscura e altera voce baritonale di Langsuyar e la soave voce di soprano dell’ospite Birgit Zacher, con gli effetti orchestrali della tastiera a cui si somma il pianoforte, creando una melodia che cattura e affascina. Sette minuti in cui due amanti consumano la loro unione, unione che è suggellata nella sensualità, nel desiderio, con una punta di disperazione ed una di dolcezza che trasportano fino al mattino, rotto infine da una strana nostalgia, esauritasi la follia di coloro che vivono nella notte e da essa sono ispirati e dominati.
Conclude Alma Mater, che avvicina il black metal alla vena più folkloristica dei nostri; torna lo screaming devastante, sorretto da veloci riff di chitarra leggermente più sporchi e privo dell’aiuto melodico della tastiera se non nella più anthemica parte finale; riff che a tratti si placano un poco per fare posto ad un lavoro alle pelli più tribale e all’ormai usuale cantato baritonale e ispirato. Un esperimento di fusione analogo a quello successivo operato dai Finntroll, a cui i portoghesi sono vicini nella volontà di ritorno alle radici della propria terra, ma usufruendo di una furia meno scanzonata, di uno spirito decisamente più portato all’allegoria e al liricismo, che solo a tratti si può definire realmente “gotico”. Gli elementi musicali ripresi sono semplicemente indispensabili ai fini contenutistici, a quella filosofia che trova nel panteismo, in un selvaggio e primordiale matrimonio con la natura, la sua espressione principale.
“For I am your only child
And you my dearest mystery
From an ancient throne I defy the world
To kneel before the Power within.”