- Pavel Smirnov - chitarra
- Eugene Forza! Petrov - chitarra
- Anton Marchenko - basso
- Leonid Kurashov - batteria
- Nikolay Bulanov - violoncello
- Mikhail Degtyarev - visualization
1. Nine Billion Names... (to A. Clarke) (06:12)
2. L2 (01:37)
3. Message From Arecibo (05:22)
4. Rain In The Ashtray (05:57)
5. L1 (01:27)
6. 444 (05:29)
7. Novorossiysk 1968 (05:53)
8. L4 (01:09)
9. Mandarin (07:47)
10. L3 (01:06)
11. The Horizons (08:10)
12. L5 (01:07)
13. Short Stories Of Methuselah Tree (09:20)
Lagrange Points
I Mooncake sono un sestetto formatosi a Mosca (Russia) nel 2006, e specializzatosi fin da subito nel suonare quel tipico stile post-rock standardizzato soprattutto dai texani Explosions in the Sky e dagli scozzesi Mogwai (dai quali riprendono l'umore introverso e romantico), ma anche dai canadesi Godspeed You! Black Emperor e dagli irlandesi God Is an Astronaut (dai quali riprendono l'approccio "space rock"), cogliendo lungo la strada anche altre influenze dallo stesso panorama, e specialmente dagli americani Saxon Shore e dagli (da poco esordienti) inglesi Yndi Halda.
Nello specifico la band è formata da Pavel Smirnov e Eugene Forza! Petrov alle chitarre, Anton Marchenko al basso, Leonid Kurashov alla batteria e Nikolay Bulanov al violoncello, ai quali si aggiunge Mikhail Degtyarev (autore dei visual durante i live).
Il loro primo disco è Lagrange Points, uscito nel 2008, registrato e pubblicato in completa autoproduzione, senza tra l'altro badare a spese visto il sound nitido, raffinato e potente della produzione.
Sull'album non c'è in realtà molto da dire, se non che trattasi di un lavoro palesante una forma di post-rock strumentale "allo stato dell'arte", ovvero ricalcante una formula non più innovativa perché già da altri codificata e avviata all'abuso, ma in ogni caso capace di evadere da ormai facili stanchezze e monotonie. In particolare il violoncello di Bulanov, arrangiante alla perfezione gli intrecci effettati e stratificati delle due chitarre, è probabilmente il tocco indispensabile per far sì che i brani acquisiscano una propria ragion d'essere anche se considerati in relazione a tutto ciò che il panorama post-rock attuale offre.
La tracklist è un flusso di lunghe (6, 7, 8 minuti) escursioni inframmezzate da brevi parentesi separatorie denominate L2, L1, L4, L3 e L5, a simboleggiare appunto i cinque punti di Lagrange del titolo (zone nelle quali le forze gravitazionali si bilanciano) esistenti nel sistema Terra-Luna.
I climax che caratterizzano i pezzi sono anche la formula espressiva dell'intero disco, che con Short Stories of Methuselah Tree si conclude toccando non solo la massima lunghezza (9 minuti e mezzo), ma anche il vertice di potenza sonora (con le chitarre più distorte e la batteria più potente).
Dolcemente malinconico, dal sound avvolgente e con forti influenze "space rock" che evocano lo spazio aperto, Lagrange Points è forse il disco post-rock migliore dell'anno (superiore anche al debutto su full-length dei colleghi texani This Will Destroy You, che sembrano aver terminato le idee con il primo EP), adatto a diventare un'ottima colonna sonora autunnale.