- Ryan Morgan - chitarra
- Stuart Ross - chitarra
- Branden Morgan - batteria
- Kyle Johnson - basso
- Karl Schubach - voce
1. Face Yourself
2. The Failsafe
3. Post Collapse
4. Migrate
5. One Day I'll Stay Home
6. Something Was Always Missing, But It Was Never You
7. Reverence Lost
8. Sword Of Eyes
9. An Offering To The Insatiable Sons Of God (Butcher)
10. Anchor
11. Mirrors
Mirrors
Originari del Wisconsin e divenuti ormai abbastanza esperti all’interno della florida scena Hardcore/Metalcore americana per aver supportato acts come The Dillinger Escape Plan, Strapping Young Lad e Six Feet Under, i Misery Signals si ripropongono nel 2006 con il secondo album, Mirrors, che segue di due anni il debutto Of Malice and the Magnum Heart. Il song-writing esibito dal quintetto statunitense è molto competitivo ed in grado di fondere al meglio le sonorità dei Mastodon con quelle dei Converge, senza disdegnare un certo approccio melodico più tipico del filone Metalcore. In Mirrors i Misery Signals si esprimono nella loro migliore forma, descrivendo undici canzoni di grande rilievo, che potranno soddisfare a pieno gli amanti della violenza Metalcore.
La voce di Karl Schubach si lega perfettamente al contesto dell’opera, con il suo tono sporco che sorprende piacevolmente sia nelle sezioni più profonde che quelle più espressive ed intonate. Il brano d’apertura del disco, Face Yourself, è devastante nel suo incedere, ma lascia trasparire con chiarezza la melodia delle chitarre di Ryan Morgan e Stuart Ross, ulteriore punto di forza della formazione.
Anche la successiva The Failsafe si difende bene, regalando ottimi riff di chitarra, carichi di buoni temi principali e capaci al tempo stesso di penetrare con le loro sfuriate: i fraseggi clean di cui Mirrors è ricchissimo fanno comprendere all’ascoltatore le reali capacità compositive in possesso dei Misery Signals. E se Post Collpase risulterà un episodio a cavallo tra Hardcore e Death, cattivo e devastante nel suo sviluppo, Migrate costituirà un bell’esempio di fusione tra Alternative e Metalcore, originale nella sua forma e personale nell’interpretazione data dal combo statunitense.
I Misery Signals sanno unire con facilità soluzioni musicali provenienti da ambiti diversi, raccogliendo in un solo sound la tradizione del Punk/Hardcore, con le sperimentazioni più moderne in campo Metalcore/Alternative e il risultato appare elaborato e convincente.
Solo alcuni passaggi rimangono ancora leggermente confusi seppur non scontati nella loro direzione (Reverence Lost), poiché raffigurano un miscuglio poco ordinato di tante idee convergenti in un unico timbro.
Non è in discussione neanche la tecnica esibita dai musicisti, poiché le parti disegnate da ciascuno strumento sono complesse ed intricate, riuscendo a costruire un’architettura sonora parecchio varia: basti ascoltare la quinta One Day I’ll Stay Home per accorgersi di certe influenze Tool che riaffiorano negli stacchi puliti, in cui la voce si fa espressiva, alternandosi con efficacia al solito simil-growl di Karl.
La registrazione e produzione di Mirrors poi riescono ad evidenziare le caratteristiche di ogni brano, che si distingue in modo trasparente e senza trascinare aloni indesiderati, spesso presenti in un discreto numero di incisioni del panorama Metalcore americano.
In definitiva, si consiglia caldamente l’ascolto dei Misery Signals, arrivati proprio dopo la pubblicazione del secondo lavoro a guidare un tour americano da headliner per la prima volta: le scelte interessanti attuate su questo full-lenght permetteranno alla band di evolversi ulteriormente in futuro, andando ad abbracciare sperimentazioni ancora differenti rispetto a quelle proposte sulle due prime opere.