- Dustin Addis - Chitarra
- Chris Bennett - Chitarra
- Anthony Couri - Batteria
- Tim Mead - Voce, Conga, Tastiere
- Sanford Parker - Basso
1. Embers (13:49)
2. White Wings (05:35)
3. Mescaline Sunrise (04:43)
4. The Orphans of Piety (14:42)
5. Circle of Ashes (04:37)
6. Ceremony Ek Stasis (15:39)
The Ritual Fires of Abandonment
Minsk. Questo è il nome da segnare sulla vostra lista della spesa in questo periodo, ed il perché è presto detto: semplicemente, ci troviamo di fronte ad uno dei più strepitosi dischi che siano usciti di recente, un crepitante fuoco rituale che è pronto a divorare con le sue impetuose fiamme tutti gli altri contendenti nella corsa al titolo di miglior disco di questo 2007 musicale.
“The Ritual Fires of Abandonment” è il secondo full-lenght di questo combo statunitense, il primo per la Relapse Records, e segue a due anni di distanza il già interessante “Out of a Center Which is Neither Dead nor Alive”, raccogliendone l’eredità ma riuscendo anche a fare un salto di qualità tanto netto quanto stupefacente.
Questo quintetto dell’Illinois ha perfettamente interiorizzato la lezione data dai propri predecessori (Neurosis ed Isis in particolare) nel senso che ha proposto un suono che attinge sì al panorama musicale odierno, ma che è sviluppato con grandissima personalità e vena creativa, arrivando a forgiarsi un angolo tutto suo in cui s’incontrano il Post-Rock con la sua contrapposizione di quiete e rabbia, lo Sludge con i suoi suoni fangosi e accattivanti, la Psichedelia con le sue atmosfere allucinate e sognanti, il Doom Metal dai toni oscuri e soffocanti, la musica Etnica con le sue influenze e i suoi colori esotici: è un ambiente in cui convivono pericolo e fascino, un ambiente fatto di rosseggianti paesaggi apocalittici ma anche di soffusi momenti di pura droga mentale, ed il tutto ricrea un‘atmosfera così palpabile da far cadere l’ascoltatore in uno stato di trance.
La voce di Tim Mead è a suo agio sia nel profondo cantato pulito che nel più grintoso ringhio Hardcore (ma lo spettro è molto ampio, con vocalizzi sussurrati o filtrati) ed evidenzia i passaggi più importanti, esaltando le costruzioni a più livelli delle chitarre muggenti di Addis e Bennett, le quali si fanno notare positivamente sia durante gli assalti di pura potenza che negli ultra-effettati momenti introspettivi che sono sparsi per tutto il disco. Sopra ai discreti tappeti elettronici pulsa un basso corposo, gonfio, roboante, che si accoppia in modo perfetto con una batteria realmente dinamica, che non limita il proprio raggio d’azione ma è parte fondamentale del Minsk-sound, sia durante le rabbiose esplosioni che nei sofisticati intermezzi tribali. Eccellente anche la scelta di inserire strumenti inusuali e ricercati, innovativi per quest’ambito, come il meraviglioso sassofono di “Orphans of Piety” o le tambureggianti congas che graziano le orientaleggianti e sensuali melodie di “Ceremony Ek Stasis”: la cura dei particolari è uno degli assi nella manica di “The Ritual Fires of Abandonment”, in quanto la precisione nei dettagli permette alle tre lunghissime composizioni che formano lo scheletro del disco di rivelarsi sempre sotto una luce diversa ed essere appetibili anche a distanza di tempo dal primo ascolto. Oltre alle meraviglie appena citate, l’altro pezzo ‘primario’ è “Embers” (anche questo, come gli altri due, della durata di circa un quarto d’ora), degno emblema di quello che i Minsk vogliono suonare e quindi doverosamente inserito come opener: i suoni del produttore (nonché bassista) Sanford Parker, né troppo puliti né troppo confusi, riescono a valorizzare il brano in tutte le sue parti, dall’introduzione misteriosa e tambureggiante di batteria e sonagli fino alla desolante conclusione del pianoforte, realizzando nell’insieme un affresco di clamorosa profondità ed intensità.
Da segnalare, inoltre, la presenza di tre brani brevi (circa cinque minuti ognuno), musicalmente differenti tra loro ma accomunati idealmente dalla capacità di mostrare una precisa sfaccettatura del diamante Minsk: c’è il brano che estremizza la bollente violenza dei Kyuss (“White Wings”), c’è quello che utilizza soundscapes Ambient per unire il caldo del sole del deserto ai flash lisergici delle droghe (la surreale “Mescaline Sunrise”), c’è un finale di pura devastazione preparato da minuti di sabbiosa e faticosa costruzione (“Circle of Ashes”): episodi diversi ma uniti da un filo rosso conduttore, accomunati dalla stessa atmosfera, dalla stessa elettricità, dalla stessa qualità.
L’ascolto è obbligatorio se siete fanatici di gruppi quali Neurosis, Isis, Callisto e Cult of Luna: state in guardia, poiché “The Ritual Fires of Abandonment” è la dichiarazione di guerra dei Minsk, un gruppo oramai maturo e consapevole dei propri mezzi, un gruppo che è pronto a gareggiare con i mostri sacri del settore. E a batterli.