- Daniel "Mortuus" Rosten - voce
- Morgan "Evil" Steinmeyer HÃ¥kansson - chitarra
- Magnus "Devo" Andersson - basso
- Lars Broddesson - batteria
1. Nowhere, No-One, Nothing (03:19)
2. Funeral Dawn (05:51)
3. This Fleshly Void (03:06)
4. Unclosing The Curse (02:15)
5. Into Utter Madness (04:56)
6. Phosphorous Redeemer (06:11)
7. To Redirect Perdition (06:41)
8. Whorecrown (05:29)
9. Chorus Of Cracking Necks (03:47)
10. As A Garment (04:17)
Wormwood
Wormwood è il quattordicesimo album per i Marduk se si contano Live in Germania, Infernal Eternal e Warschau, tutti live album; nonché terzo album con Mortuus alla voce, senza contare i vari cambi di formazione che la band ha subito nel corso degli ultimissimi anni. In pianta stabile è rimasto, come sappiamo, il solo Morgan Steinmeyer Hakansson alla chitarra. Come penso molti di voi, anch’io considero questa formazione come una copia sbiadita di come erano i Marduk qualche anno fa: una band capace di creare album devastanti come Panzer Division Marduk o, se si torna ancora più indietro, un capolavoro come Opus Nocturne. Io comunque, cerco di “dimenticare” i bei tempi andati in fase di recensione per questa ultima fatica e provo a considerare questi Marduk semplicemente come una band diversa di quella di dieci anni fa.
I Marduk di Wormwood si cimentano in un black metal che gioca molto sull’opposizione parti veloci-sezioni quasi atmosferiche ove persino la voce di Mortuus muta per essere sovente quasi sussurrata con il solito timbro maligno. Queste sezioni rallentate tra una marea di blast beats possono già essere segnalate in Nowhere, No-One, Nothing, mentre Funeral Dawn gioca semplicemente sul suo andamento marziale, dando risalto alle linee di chitarre al fine di creare un’atmosfera raggelante. This Fleshly Void ritorna su binari impulsivi e qui possiamo notare la buona versatilità di Mortuus, cantante troppo sottovalutato o criticato semplicemente per il fatto di mostrare parti più “recitate” della sua voce che i puristi dei Marduk disdegnano, non essendo abituati. A volte il suo timbro malato e le urla sofferte con varie cadute del semi-growl donano quel tocco di malignità in più ad un album che vive di questi elementi. Persino le parti più tirate mostrano dei riffs che vanno a ripescare una forma più oscura di black metal. A tal proposito, la somiglianza di stile ai Funeral Mist (band originaria di Mortuus) è palese e si rispecchia anche in una produzione più scarna e maligna, lontana anche solo da un album come World Funeral.
Se Unclosing The Curse segna solo una piccola pausa essendo una sorta di intermezzo, Into Utter Madness si candida ad essere la canzone meglio riuscita dell’album visto i vari richiami al passato glorioso della band, tirando in ballo tutto lo stile mortifero e freddo dei loro primi album con dei riffs veramente evocativi ed azzeccati per l’atmosfera maligna che una canzone dei Marduk deve possedere. In opposizione troviamo la non esaltante, sempre veloce Phosphorous Redeemer e la discreta, stavolta lenta, To Redirect Perdition. L’album recupera un po’ di energia e malvagità con la ferale Whorecrown ed i suoi riffs a volte quasi bizzarri ma veramente indovinati per il mood e l’altrettanto diabolica Chorus Of Cracking Necks. Quest’ultima in particolare è agghiacciante per il suono delle ossa che si rompono a voler richiamare il titolo. La lentezza e l’anima occulta di As A Garment terminano questo discreto ritorno della band Svedese che sicuramente non deluderà gli appassionati del genere e sarà utile per far capire, una volta per tutte forse, che i Marduk sono cambiati e non sono più la stessa band, nel bene e nel male.